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Blocco immigrazione di Trump, Google preoccupata ha richiamato i dipendenti all’estero

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Alphabet (l’azienda che controlla anche Google) ha mandato un messaggio ai dipendenti che si trovano all’estero e che potrebbero essere colpiti dai due decreti esecutivi firmati dal Presidente USA. Donald Trump ha vietato l’ingresso temporaneo ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana oltre ad avere ridotto la quota massima di rifugiati che gli USA intendono accettare nel 2017.

L’ordine esecutivo impedisce l’ingresso a persone di sette paesi a maggioranza musulmana per 90 giorni. Il divieto è destinato a cittadini di Siria, Iraq, Iran, Sudan, Somalia, Yemen e Libia, ordine disposto dal Presidente “per evitare di far entrare negli Usa terroristi stranieri”. Già venerdì alcune green card (le autorizzazioni rilasciate dalle autorità americane che consentono a uno straniero di risiedere sul suolo degli U.S.A. per un periodo di tempo illimitato), sono state bloccate impedendo l’imbarco su alcuni voli verso gli Stati Uniti.

Alcuni dipendenti di Google hanno già corso questo rischio e sono riusciti a rientrare solo perché si trovavano già a bordo degli aerei prima della firma dei decreti; anche se sono in possesso di visti in corso di validità, per chi proviene da una delle sette nazioni in questione esiste ad ogni modo il rischio concreto di essere rispediti in patria,

“Siamo preoccupati dall’impatto dell’ordine e qualsiasi proposta che potrebbe imporre restrizione ai dipendenti Google e alle loro famiglie, o creare barriere che impediscano di portare grandi talenti negli USA” ha detto una portavoce di Google in una dichiarazione. “Continueremo a esprimere chiaramente le nostre opinioni in merito ai leader di Washington e altrove”.

Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, in una nota inviata ai dipendenti venerdì, ha stroncato il provvedimento di Trump spiegando loro che più di 100 dipendenti dell’azienda sono in qualche modo colpiti dai provvedimenti.

“È doloroso vedere quanto per i nostri colleghi questo ordine esecutivo possa costare in termini personali” ha scritto Pichai nella nota inviata ai dipendenti e riportata da Bloomberg News. “Abbiamo sempre indicato chiaramente il nostro punto di vista in materia di immigrazione e continueremo a farlo”.

Dal commento è evidente la crescente rottura tra l’amministrazione Trump e tante aziende tecnologiche USA presso le quali lavorano molti immigrati, molte delle quali hanno esercitato pressioni per meno restrizioni in materia di restrizioni all’immigrazione. Quanto evidenzia Pichai, ricalca simili dichiarazioni di suoi colleghi del mondo IT preoccupati dall’effetto negativo che simili scelte politiche avranno sui loro affari.

Anche il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, ha detto di essere “preoccupato” dalle mosse di Trump in materia di immigrazione. Microsoft ha accennato al problema evidenziando agli investitori che la questione potrebbe avere impatto sulla futura capacità di avere personale adeguato in alcune aree di ricerca e sviluppo.

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