Alcuni servizi di musica in streaming quali Beats Music, Google Play, Rdio e altri, sono oggetti di una raffica di citazioni con richieste di pagamento di royalties su alcuni brani disponibili sui servizi in questione e risalenti a prima del 1972; una serie di azioni che, potenzialmente, potrebbero mettere a rischio la disponibilità futura dei brani contestati.
La citazione è stata presentata alla Corte Distrettuale della California da Zenbu Magazines (una holding company di New York) , titolare di varie registrazioni risalenti a prima del 1972; questa società contesta a Beats Music (ora proprietà di Apple) e altri servizi di streaming l’uso indebito di alcuni contenuti e i profitti illegalmente ricavati da servizi in abbonamento senza aver corrisposto royalties.
Oltre a Beats, Zenbu ha citato con accuse simili anche Sony, Google, Grooveshark, Rdio, Songz e Slacker, richiedendo alla Corte anche la class certification (limitazioni ben precise che inquadrano la portata dell’indagine. solo se la corte adita nega la certification alla classe, il querelante può impugnare il rifiuto davanti ad un giudice di grado superiore).
Stando a quanto afferma Jack Fitzgerald, legale dei querelanti, i servizi di streaming in questione avrebbero copiato e caricato sui loro server “decine di migliaia” di brani registrati prima del 15 febbraio 1972, data limite per le registrazioni di master musicali per i quali (a causa di un buco normativo) sono garantiti alcuni diritti in materia di copyright da specifiche leggi federali che regolano la distribuzione. Nel caso di Beats si cita ad esempio la disponibilità del brano “Sin City” dei Flying Burrito Brothers (uno dei primi gruppi musicali di genere country rock).
Non è chiaro quanto il catalogo brani di Zenbu sia popolare tra i clienti dei servizi di streaming in questione e non è pertanto facile determinare stime di costi per il licensing; quanto deciso potrebbe avere ripercussione su un caso simile che riguarda il colosso radiofonico americano SiriusXM finito in tribunale per essersi rifiutato di riconoscere royalty all’industria musicale riguardo alla diffusione di brani anteriori al 1972, ribattendo che il diritto di trasmettere questi brani è sancito dalle singole leggi nazionali.