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Apple, i negozi strategia vincente

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Il cronista ha visitato Apple Store in varie parti degli Stati Uniti e di altri paesi: Giappone, Svizzera, Gran Bretagna, ovviamente Italia. Mancano Cina e Australia, poi il conteggio è (per adesso) completo. Gli Apple Store sono la rivoluzione iniziata nel momento di maggior crisi di Apple, quando era necessario pensare in maniera razionale e strategica per il rilancio dell’azienda. E sono stati non solo innovativi, ma anche molto molto proficui. Una vera e propria benedizione.

L’idea dei primi Apple Store è nata in realtà  prima del rientro di Steve Jobs a Cupertino. àˆ stata la “vecchia” Apple, nel 1996, a pensare che si potesse arrivare a fare una catena di Internt caffé insieme a Landmark Entertainment Group. L’idea arrivò sino ai disegni esecutivi, a uno stadio di realizzazione progettuale abbastanza avanzato, ma poi venne abbandonata lì. I tempi non erano maturi, mancava la capacità  di traino di Steve Jobs per far funzionare il progetto. Anzi, per concepirne uno vero e proprio.

Nel 1999 Apple aveva ripreso fiducia in se stessa e, grazie alla leadership ritrovata di Jobs, stava risalendo la china. Il colpo del decennio era stato lanciare l’iMac, macchina generosa che aveva ristabilito una linea di continuità  con il primo Mac, computer bello, semplice e trasportabile. Apple, che non aveva mai venduto prima direttamente ai clienti (ma aveva fatto fiorire una rete ampia di rivenditori autorizzati) adesso toccava grazie a Internet le case delle persone. Il negozio Apple.it/Apple.com era diventato, dopo quello di Dell, il più importante per la vendita di personal computer da parte di un singolo produttore. Ma ancora non bastava.

Il progetto portato avanti da Cupertino e voluto fortemente da Steve Jobs era semplice e ambizioso: costruire negozi in cui finalmente potesse cominciare l’esperienza di acquisto e di utilizzo dei prodotti Apple. Uno spazio in cui si potessero provare le funzionalità , testare gli apparecchi, parlare con gli esperti, trovare soluzioni o rimediare i problemi. Insomma, spazi innovativi i cui esperienza, marketing, customer care e relazione diventavano termini tangibili e funzionanti. Qualcosa che nessuna catena retail indiretta poteva offrire. Il controllo assoluto del messaggio attraverso lo spazio e i prodotti stessi. La migliore forma di pubblicità  possibile.

Per Apple l’importanza dei suoi negozi è diventata sempre più evidente quando l’ambizioso piano ha preso il via co la doppia inaugurazione del 19 maggio 2001 a Tyson’s Corner (Virginia) e Glendale (California) e poi, lentamente, il tabellone si è andato lentamente riempiendo di bandierine, simboli che rappresentavano i negozi prima negli Usa e poi in Europa e Asia. Un crescendo con decine di milioni di visitatori al mese: la miglior pubblicità  e canale per veicolare messaggio ed esperienza dei prodotti, superiore a qualsiasi campagna pubblicitaria televisiva o a qualsiasi Macworld o altra fiera.

La catena di negozio di Apple ha prodotto nel solo terzo trimestre del 2009 (anno fiscale) la bellezza 1,5 miliardi di dollari di fatturato, con utili per 321 milioni di dollari. Il contributo alle revenue dell’azienda è del 21,7%, agli utili è del 26,4%. La superficie misurata in metri quadri dei negozi di Apple ha una redditività  maggiore di quella di Tiffany, la nota catena di gioiellerie esclusive. Solo una persona su 17 candidati diventa un commesso di Apple store, e questo permette di gestire al meglio le sessioni personalizzate di training, ad esempio, che sono state più di 600mila nell’ultimo trimestre, oppure 270mila per le sessioni del servizio di assistenza One to One.

Alcune statistiche sui negozi di Apple. Il negozio più costoso da realizzare è stato quello di New York costruito all’interno di un cubo di vetro (in realtà , ilnegozio è nel seminterrato), perché ci sono voluti 10 milioni di dollari per demolire il precedente palazzo e realizzare lo store della Fifth Avenue. I due negozi più vicini sono in California (che con 49 insegne ha anche il record di densità ), con una distanza di 1.169 metri tra quello di Palo Alto e quello di Stanford. Il più alto è quello di Ginza, in Giappone, con quattro piani di negozio più uno di sale riunioni e training, mentre sono 11 i negozi portabanidiera: da Pechino a Glasgow, dalla Quinta Strada a Soho, da Ginza a San Francisco, da North Michigan Avenue (Chicago) a Regent Street (Londra), da The Grove (Los Angeles) a Osaka, fino alla 14ma Strada sempre di New York.

Da notare che Apple ha costruito anche nove “mini-store”, con una dimensione molto ridotta (in pratica, una sola lunga stanza), in cui sono state trovate soluzioni interessanti per la gestione della cassa e del magazzino. La maggioranza dei negozi è in un centro commerciale perché Apple preferisce raggiungere un ampio bacino di popolazione (negli Usa 100 milioni di persone erano a 15 miglia da un Apple store nel 2004, secondo le statistiche di Apple stessa) e la superficie complessiva calpestabile è, sino a questo momento, pari a più di 548mila metri quadri.

Il lungo peregrinare tra i vari negozi ha portato il vostro cronista a capire la loro importanza “culturale” nella capacità  dell’azienda di imporre il suo modello di pensiero: visitare un Apple store è una esperienza studiata a tavolino dagli esperti di marketing di Apple che vogliono rendere piacevole, rassicurante, diversa e al tempo stesso emozionante e soddisfacente la visita. Si trovano i beni necessari alla vita con la mela morsicata e al tempo stesso tutto il superfluo che si possa desiderare.

Nonostante Apple abbia nel tempo dato largo spazio sia alle catene di reseller e premium reseller, oltre che ai corner nei negozi della grande distribuzione organizzata sia specializzata che generale, come i negozi Mondadori ad esempio, nel centro della sua strategia si legano le tre esperienze: i negozi fisici, il negozio online e la rete di passaparola degli utenti Mac. Perché, alla fine, è il popolo della mela la migliore raccomandazione della qualità  dei prodotti Apple. Come imparerà  ad apprezzare chi comincerà  a frequentare i due negozi italiani dell’azienda, trovando altri clienti che in realtà  sono altri esponenti del culto della mela morsicata.

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