Il metaverso, si sa, è un concetto divisivo. Nessuno sa di preciso cosa vuol dire, al di là degli scrittori di fantascienza (da Neal Stephenson che se l’è inventato all’autore di Ready Player One che l’ha usato a lungo) e di Mark Zuckerberg.
Il genietto dei social, l’uomo che ha creato un paradigma di interazione sociale online predatorio e spietato ma che ha praticamente monopolizzato per un decennio la sfera del discorso, non è nuovo ai colpi d’ingegno.
Quando Facebook non era altro che una pagina web molto interattiva, all’inizio degli anni Zero (l’epoca in cui l’interfaccia di Gmail sembrava un miracolo tecnologico e si parlava di Web 2.0 come se fosse il punto di arrivo dell’umana evoluzione) lui intuì prima di moltissimi altri che i telefoni cellulari erano diventati smart e che quello sarebbe stato il futuro.
Con una mossa che poche, pochissime altre aziende sarebbero state in grado di fare, trasferì tutta la tecnologia di un sito web dentro un’app per smartphone. Si pensava al suicidio dell’azienda (almeno, quelli di Twitter e di altri social network lo speravano), alla peggiore mossa strategica del secolo, ma non fu così.
Anzi, esattamente il contrario. E Facebook è diventato tale, il colosso social, soprattutto grazie ai dispositivi mobili, alla pervasività di un social che all’improvviso cammina sempre con te, in tasca, e permette di messaggiare in tempo reale, caricare foto e video, conoscere la tua posizione. Una manna per gli investitori.
Il cambio di marcia per Facebook
Poi, Facebook è finita in mezzo agli scandali sulla privacy, l’azienda ha capito che doveva cambiare rotta, e già che c’era anche disintermediarsi dalle piattaforme (i sistemi operativi sottostanti, come iOS) che cominciavano a mal tollerare un social che ficca il naso nella vita degli utenti. Sia Google che Apple hanno cominciato a chiudere le porte e le finestre, e Zuckerberg ha capito che doveva far qualcosa. Quel qualcosa era un mondo nuovo e diverso.
Un mondo fatto di interazioni in ambiente e in maniera molto più naturale. Un mondo ispirato dai videogiochi e dall’immaginario fantascientifico e dall’idea (diffusa in tutta la Silicon Valley) che il futuro sia la sostituzione del nostro mondo con uno digitale o quantomeno la sovraimposizione di una serie di informazioni sul mondo reale. Una realtà virtuale o una realtà aumentata, insomma. Quello che Zuckerberg chiama metaverso.
Un mondo libero da piattaforme, perché andare nel metaverso vuol dire anche creare un sistema operativo da zero. Zuckerberg aveva già provato a fare lo smartphone di Facebook ma non è andato molto lontano. Con Oculus ha provato a fare una piattaforma dove è proprietario sia del sistema operativo che dell’app social. Questo vuol dire che controlla tutto e non corre il rischio di essere tagliato fuori da scelte di protezione della privacy prese da altre aziende, che tagliano l’accesso ai sensori di posizione, movimento, cronologia e via dicendo.
Metaverso o Second Life in 3D?
Tuttavia, Zuckerberg ha battuto la faccia contro il muro. Pur avendo detto che la visione per il metaverso è da qui a dieci anni, che bisogna costruire e inventare tutto, le critiche per il sistema sono praticamente quotidiane. Nessuno usa le prime esperienze create da Meta, nessuno accetta una visione che sembra una versione 2.0 di Second Life in 3D.
Solo nel mondo del gaming si è cominciato a parlare di videogiochi che hanno un senso con la grafica tridimensionale e immersiva. Il resto è rimasto sullo sfondo: dai film in 3D alle app per andare a caccia di Pokemon a giro per il pianeta. Tutte belle, hanno fatto eccitare i venture capitalist e gli startupper seriali, ma non hanno prodotto niente di concreto.
Se avete un’attività commerciale, magari vendete abbigliamento o accessori per la casa e volete farvi conoscere un po’ e aumentare il giro d’affari, il posto dove stare è ancora il buon vecchio Facebook, non il metaverso. O magari le ricerche di Google con il seo (che però l’arrivo di ChatGPT ha messo fortemente in discussione, ma questo è tutto un altro discorso).
Quindi, cosa succede adesso? Zuckerberg sa, perché sicuramente sapeva, che cosa Apple stava preparando. E quel che Apple ha presentato, cioè il visore Apple Vision Pro, è uno strumento (per adesso uno, tra un po’, magari un anno, probabilmente arriverà anche la versione non Pro che farà qualcosa di meno ma costerà anche molto meno) che fa esattamente quello che Zuckerberg sperava i visori per la realtà aumentata e virtuale, lo “spatial computing”, possano fare.
La guerra tra Apple e Meta
Peccato che in due ore e cinque minuti di presentazione nessuno di quelli di Apple abbia mai pronunciato la parola “metaverso”. Perché? La risposta è semplice: perché adesso c’è la guerra vera tra Apple e Meta per conquistare uno spazio inedito.
Le due aziende devono convincere, con approcci diversi e tecnologie diverse, che questa cosa che possiamo chiamare in tanti modi ha senso e vale la pena essere usata. Attenzione: Apple Vision Pro è un prodigio tecnologico, non esiste un apparecchio come quello in nessun ambito, né commerciale né militare o industriale o medico, però è ancora un personaggio in cerca d’autore. Non è per niente scontato che un numero sufficientemente alto di persone voglia comprarselo e metterselo e usarlo per fare cose.
Per riuscirci deve essere definito il mondo che Apple promette. Il Vision Pro deve raccontare com’è fatto un ambiente che sappiamo essere da un lato molto familiare e intuitivo da usare (app comuni all’ecosistema Apple, comandi super smart con gesti, movimento degli occhi e delle dita, voce), con meccaniche note (l’app store funziona anche nel metaverso di Apple) e dall’altro con aspetti un po’ fantascientifici (riconoscimento dei visi, occhi in mostra, interazioni pilotate dalla macchina), usi possibili alquanto complessi.
Come si vince la guerra del metaverso
Lasciamo perdere la tecnologia, della quale in realtà Apple ha detto pochissimo (due chip, i visori attaccati agli occhi, l’audio spaziale, la batteria esterna e poco altro) e concentriamoci sugli usi. A cosa serve realmente un apparecchio del genere? A parte gli impallinati di gadget e chi cerca solo uno status symbol da esibire per far capire che ha 3500 dollari più tasse a disposizione, qual è lo scopo di un apparecchio del genere? Chi lo usa e per fare cosa?
Questa fase, che gli antropologi chiamano di “addomesticamento della tecnologia” è quella che definirà il possibile successo di un apparecchio che a livello hardware e software è sicuramente fantastico ma che di certo non ha vinto perché ancora deve giocarsi tutta la partita. Mark Zuckerberg lo sa ed è preoccupato, perché lui un pezzo di partita l’ha già giocata e sta perdendo clamorosamente.
Tutto quello che Apple ha presentato alla WWDC23 da iOS 17 a Vision Pro è riassunto in questo articolo di macitynet.