In principio, c’era l’iPad. Con un colpo a sorpresa, Apple ha aperto un intero mercato, è andata là dove le acque da navigare hanno fondali blu intonsi, vergini, anziché ammassarsi nelle acque fangose e arrossate dal sangue della competizione. E ha trovato l’Eldorado. È stato scritto da un sacco di parti, ma quando dici che il 17% del fatturato di Apple, 4,6 miliardi di dollari cioè praticamente una piccola legge Finanziaria, arrivano tutto da un prodotto che è stato lanciato sul mercato nove mesi fa, un brivido scende per la schiena. Praticamente nessuno è stato in grado di fare altrettanto, a memoria d’uomo.
Ebbene, adesso Apple cerca di fare il bis. Dopodomani vedremo se davvero l’iPad 2 sarà una macchina di dominazione della concorrenza, oppure se i “nemici” di Apple si saranno avvicinati a sufficienza da poter segnare anche loro qualche punto. Certo, ci contano. In questi mesi molte grandi aziende hanno messo i loro top manager a rosolare sul fuoco lento della graticola, cercando di arrivare ad avere prodotti innovativi in questo settore.
Per dire: Samsung, Motorola, Research In Motion, ma anche la stessa Google, che è rimasta finora molto indietro con la realizzazione del suo sistema operativo Android. Già, perché la versione 2.x è buona per i telefoni, mentre la 3 per adesso è buona solo per i tablet. La convergenza ha ancora da venire. E gli altri si devono ancora inventare il copia-e-incolla, devono ancora regolamentare la forma di questi apparecchi e delle loro funzioni. Il market di Android solo adesso è disponibile sugli apparecchi dotati di Honeycomb, cioè della versione 3, mentre per la due, se hanno lo schermo più grande di sette pollici, niente Android Market.
Sono strane idiosincrasie di un mercato che sembra essere ancora in confusione: tutti che si affollano a realizzare, a produrre forse senza neanche aver speso abbastanza tempo a progettare. Sì, perché qui il problema è proprio questo: Apple ha un vantaggio consistente: sono più di due anni che lavora alacremente su iPad. Ha voluto del tempo progettarlo, ci si sono messi d’ingegno, sia per l’hardware che per il sistema operativo. Difetti ce ne sono, sicuramente. Ma è un trattato di filosofia estetica quello che ha fatto Apple, rispetto alle cose abburracciugate della concorrenza.
A parere di chi scrive, il vero problema di iPad non è la videocamera (che tanto metteranno) o le eventuali porte di collegamento con gli accessori Usb o Sd card o Thunderbolt. No, il vero problema è che c’è e ci sarà ancora il pulsante “home” davanti, sul frontale. Apple dovrebbe avere il coraggio di sorpprimerlo e di lasciare l’iPad come realmente deve essere: una tavoletta di alluminio estruso e vetro, un unico monolite luminoso, con un pulsante in alto per lo spegnimento e uno di lato per il volume (più un altro per bloccare l’orientamento, sull’altro lato). E basta.
Questo sarebbe un notevole passo in avanti, che per adesso rappresenta invece una potenziale debolezza per iPad. Anche perché il bottone Home lo si preme e lo si ripreme, a rischio di rompere sostanzialmente l’unica parte meccanica e in movimento dell’intero apparecchio. Questa cosa, non temete però, la concorrenza tanto non può mica capirla. Anche i geni di Motorola, che hanno realizzato Xoom, e quelli di Rim, che si divertono a rendere la vita più complicata con PlayBook, e tutti gli altri, utilizzano almeno quattro, cinque, anche sei o sette pulsanti. Avranno le porte di connettività hardware, ma soprattutto hanno una pletora di funzionalità e di comandi ineleganti e ridondanti.
Uno scempio, un obbrobrio, sicuramente uno spreco. Per questo Apple è in vantaggio: lavora meglio e lavora pure prima. Adesso, mani sulla pancia, scatolona di popcorn e bibita gelata: prepariamoci così all’appuntamento di dopodomani, per vedere che cosa presenteranno mai gli uomini di Steve Jobs sul palco dello Yerba Buena center for the arts. Siamo tutti curiosi di essere stupiti ancora. Vedremo.
Intanto, mentre gli altri arrancano verso la loro prima generazione di apparecchi tablet, Apple è bene ricordare che si appresta a saltare nella seconda generazione. Tutta un’altra cosa.