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Sarà rivista la commissione del 30% per alcuni acquisti su iTunes Store

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Secondo un recente rapporto del Financial Times, Apple prevede di ridurre la commissione del 30% che attualmente viene trattenuta su alcune delle vendite che avvengono attraverso iTunes Store. Conosciuta per la proporzione 70/30, la “Apple Tax” – così chiamata in svariate occasioni – è stata introdotta direttamente da Steve Jobs in occasione del lancio di iTunes Music Store nel 2003, ma ora non viene più ritenuta adeguata anche dalla stessa Apple per l’avvento di nuovi contenuti e per il crescere della concorrenza.

Apple in passato ha già modificato quella che solo apparentemente è una regola ferrea. Alcuni sviluppatori e partner avrebbero negoziato meno del 30% di quota parte dalla vendita ma ora Cupertino starebbe formalmente per annunciare un abbassamento della sua percentuale, contestualmente alla presentazione del nuovo servizio musicale (che secondo il Financial Times si chiamerà Apple Music).

Al momento alcune applicazioni sono scoraggiate dall’offrire servizi di abbonamento via App Store, per esempio, applicazioni di servizi musicali come Spotify e Deezer, che offrono un servizio di abbonamento di musica per 10 dollari al mese. Quando un consumatore acquista un abbonamento dall’interno delle applicazioni, Spotify e Deezer devono pagare a Apple 3 dollari per il costo di sottoscrizione. Secondo le fonti del Financial Times, alcune applicazioni saranno esentate da questa tassa, per esempio la app di Netflix, così come altri sviluppatori iOS quali Time Inc. e NPR.

A beneficiare della maggiorazione del ritorno sarebbero quindi in particolare le società che forniscono contenuti multimediali, quelle che potrebbero approdare sul futuro servizio di contenuti on demand della nuova Apple TV, ad esempio, ma anche le società che offrono musica, oltre che gli editori che vendono edizioni in digitale. Questi ultimi in passato avevano già fatto avuto forti contrasti con Apple per il mancato accesso ai dati raccolti dagli abbonamenti via acquisto in app e poi per i limiti che Apple imponeva per pubblicizzare gli abbonamenti via iPad e via iPhone.

Le fonti del Financial Times suggeriscono che la mossa potrebbe prendere origine dal tentativo di prevenire un possibile interventi delle autorità per la regolamentazione della concorrenza, che potrebbero vedere la “Apple Tax” abuso di una posizione dominante, per fare affari nel trafficato mercato del mondo app. La riduzione delle commissioni potrebbe anche essere una mossa competitiva contro gli sforzi di concorrenti come Google e Facebook per reclutare sviluppatori e convincerli a creare applicazioni per le loro piattaforme.

Al momento non è chiaro che cosa accadrà per quanto riguarda le applicazioni. Anche molti sviluppatori lamentano la scarsa appetibilità del modello 30/70. Attualmente pochissime applicazioni in vendita su App Store sono vendute in numeri tali da essere realmente convenienti, questo principalmente perchè la quantità di offerta è tale, da polverizzare la domanda e rendere poco visibili o poco acquistati anche programmi di buona qualità. Il Financial Times cita la lettera di Jeff Hunter, che gesitsce AnyList, un’app che guida all’acquisto di applicazioni, secondo il quale un modello rigido di oggi è sbagliato. Apple invece dovrebbe riscuotere il 10% dai primi incassi (ad esempio 100$) e salire progressivamente. In questo modo molti più sviluppatori lavorerebbero a programmi per iOS e potrebbero guadagnare qualche cosa dal loro lavoro.

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