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Apple e tasse in Italia: nel 2013 il business cresce, le tasse pagate meno

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Apple e tasse: in Italia nel 2013 Apple ha versato all’erario 8 milioni di euro di imposte, un totale ingente ma allo stesso tempo estremamente sproporzionato perché solo il business dei negozi Apple Store nel nostro Paese ha generato ricavi pari a quasi 300 milioni di euro, a cui vanno aggiunte le vendite tramite rivenditore, ma “purtroppo” Apple deve “pagare” (virgolette in tutti e due i casi assolutamente d’obbligo) quel che acquista dalla filiale irlandese.

A riportare alla luce il caso è l’ANSA citata da Repubblica.

Consultando i bilanci emerge così che Apple Italia, che si occupa di supporto vendite e marketing, ha corrisposto al Fisco 4,8 milioni di euro, mentre Apple Retail Italia che invece gestisce direttamente i 14 negozi Apple Store presenti nel nostro territorio, ha pagato tasse per 3,1 milioni di euro.

Gli 8 milioni di euro circa di tasse versati da Apple nel 2013 rappresentano un incremento rispetto ai 5,5 milioni di euro del 2012. Ricordiamo infatti che l’anno precedente Apple Italia ha ottenuto un profitto di 10,7 milioni di euro su cui sono state calcolate le tasse, mentre la divisione Apple Retail Italia ha registrato una perdita nonostante un fatturato di 250 milioni di euro, generando così un credito di imposta di 2,5 milioni di euro.

La sproporzione tra l’enorme fatturato generato da Apple in Italia e l’ammontare delle tasse versate non è una novità e nemmeno una esclusiva del nostro Paese. Da sempre Apple e tutti i principali colossi IT sfruttano strutture di società internazionali controllate per ridurre al minimo oppure a zero le imposte dovute nei paesi con pressione fiscale elevata, per trasferire invece ricavi e profitti nelle filiali estere, in nazioni in cui l’imposizione fiscale è ridotta. Nel caso di Apple il meccanismo è quello impiegato da anni: tutti i prodotti Apple vengono infatti venduti dalla filiale in Irlanda Apple Retail International a quella nel nostro Paese, così a fine anno Apple Retail Italia deve pagare costi ingenti per tutte le forniture di prodotti Apple venduti nell’arco dell’anno. Nel 2012 Apple ha fatturato in Italia 249 milioni di euro, aumentati di quasi il 20% nel 2013 fino a quasi 300 milioni di euro: di questi ben 220,7 milioni risultano come un costo pagato ad Apple Distribution International: giunti in Irlanda questo totale diventa sì un fatturato, ma soggetto a una tassazione inferiore al 2%.

Così il bilancio di Apple nel 2013 in Italia non presenta novità: è stato stilato seguendo lo stesso schema di costi attribuiti al nostro paese e di ricavi trasferiti alle controllate in Irlanda per evitare la tassazione elevata nostrana e far risultare profitti dove vengono tassati a minimi storici. Occorre ricordare però che proprio dal 2013 la gestione di bilancio di Apple e il calcolo delle tasse sono sotto l’esame della Finanza che ha iscritto due dirigenti di Apple Italia nel registro degli indagati per frode fiscale. Anche se le strutture societarie complesse per gestire questo tipo di elusione esistono da decine di anni, l’attenzione in materia si è scatenata a partire dall’indagine del Senato USA che nel 2013 ha chiamato a testimoniare anche Tim Cook e Peter Oppenheimer. In sintesi i dirigenti di Apple hanno illustrato il meccanismo che da anni viene impiegato per l’attribuzione di costi, ricavi e per lo spostamento del denaro tra le filiali, tutto perfettamente legale ma che permette un abbattimento sostanziale di imposte e tasse versate a livello nazionale.

Ovviamente Apple non è la prima né l’unica multinazionale ad adottare un approccio simile: Amazon, Google, Microsoft e diverse altre corporation tecnologiche ma anche in altri campi, hanno adottato da sempre sistemi simili. Nel caso della Mela il grande successo ottenuto negli ultimi anni con iPhone e iPad, avvenuto in contemporanea con la crisi economica a livello globale e più marcatamente europea, ha contribuito ulteriormente a rilevare gli immensi contrasti esistenti. Oltre che in USA, in Irlanda e in Italia l’elusione fiscale è stata presa in esame anche in Australia con il soprannome iTax: la soluzione del problema non sembra dietro l’angolo e probabilmente richiederà un accordo a livello internazionale. Il primo ultimatum sembra arriverà dalla riunione dei G20 di novembre a Brisbane in Australia: da qui le nazioni partecipanti del G20 potrebbero trovare un accordo e soluzioni contro l’elusione fiscale internazionale.

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