Apple dovrà affrontare un’azione legale collettiva intentata nei suoi confronti da impiegati degli store californiani che, all’uscita sarebbero stati sottoposti al controllo di buste e bagagli, verifiche che, a loro dire, avrebbero costretto loro a rimanere 10 e anche 15 minuti in più sul posto di lavoro al termine dei turni.
Gli impiegati affermano che Apple ha sottoposto loro all’obbligatorio controllo delle borse, verifiche ritenute “imbarazzanti e umilianti”, eseguite all’infuori degli orari di lavoro, senza specifici compensi per il tempo perso; chiedono pertanto il risarcimento dei danni per il mancato pagamento della quota salariale, lo straordinario non retribuito e altri risarcimenti.
La denuncia è stata presentata nel 2013 e dopo alcuni ostacoli giuridici, inclusa la richiesta di archiviazione lo scorso anno, ha ora ottenuto lo status di class action dal giudice distrettuale William Alsup di San Francisco. L’azione legale è condotta in nome e per conto di oltre 12.000 soggetti che includono attuali ed ex dipendenti Apple residenti nello stato della California.
Amanda Friekin e Dean Pelle, i querelanti per i quali è stata inizialmente intentata la causa, affermano che il controllo delle borse era obbligatorio ogni volta un addetto alle vendite lasciava il negozio e i controlli eseguiti in luoghi specificatamente pensati per scoraggiare i furti. Alcuni dipendenti che erano stati sottoposti a controlli avevano inviato una mail a Tim Cook, spiegando che dipendenti di valore erano trattati alla stregua di criminali e che i controlli erano spesso eseguiti di fronte a clienti che osservavano la scena.
Apple aveva finora sostenuto che al caso non avrebbe dovuto applicarsi lo status di class action, giacché non tutti i manager dei negozi avevano condotto i controlli nel modo descritto e che la ricerca all’interno delle borse richiedeva talmente poco tempo da non rendere necessaria alcuna compensazione.