Sembra ancora distante il momento in cui potremo vedere un Apple Store a Milano. Almeno questo è quello che si intuisce scorrendo un articolo pubblicato oggi sull’edizione di Milano del corriere della sera e disponibile anche on line.
L’articolo, parte dalla controversa vicenda della mancata assegnazione dei locali che furono di McDonald’s (attribuendo a quell’evento l’etichetta di sconfitta per Apple che però in realtà all’apertura delle buste con un rilancio sulla base d’asta di solo l’1% diede semplicemente l’impressione di avere rinunciato ai locali) e percorre alcune vicende più recenti e non troppo note, fino ad arrivare all’oggi, un momento in cui tutto tace e non ci sarebbero rapporti nè canali aperti tra Apple e il comune di Milano.
La parte più interessante ed inedita, se confermata, è quella di cui mai si era avuta notizia, ovvero delle trattative tra l’allora nuovo assessore alla Cultura, Stefano Boeri e la filiale italiana di Cupertino. Secondo il Corriere, Apple avrebbe riproposto la richiesta di collocare il ben noto Cubo trasparente in piazza del Duomo respinta perché «il Comune di Milano non poteva e non può lasciare il campo del tutto libero ma deve conciliare l’attrazione di investimenti con la tutela dei beni pubblici». Apple aveva a quel punto preso in considerazione di utilizzare per lo store «la seconda torre dell’Arengario, ancora oggi occupata dagli uffici di un assessorato, dal consiglio di zona 1 e dalle sedi di alcune associazioni. Nei discorsi fatti in sede di negoziato non si era parlato solo di una mera operazione immobiliare bensì di una collaborazione pubblico-privato molto più ampia». Apple in cambio dell’autorizzazione a realizzare un flasgship store con un orario di apertura molto lungo e che fosse anche, oltre che sede dei consueti corsi di formazione sui suoi prodotti, anche di promozione di attività culturale. «In più gli americani si sarebbero potuti far carico di sviluppare dal punto di vista multimediale il vicino Museo del ‘900 dotandolo di tutti gli standard digitali più avanzati e competitivi». L’ipotesi sarebbe stata approfondita per diversi mesi con il convolgimento della Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Milano e la partecipazione agli incontri di Cushman & Wakefield, l’agenzia immobiliare di riferimento di Apple in Europa. Tutto però sarebbe stato azzerato dalle dimissioni di Boeri nel marzo 2013.
Attualmente dice il giornale non esiste alcuna trattativa aperta tra Apple e il Comune, come avrebbe confermato il vicesindaco di Milano, ma Apple se rinunciasse a piazza Duomo e dintorni «avrebbe di fronte numerose alternative: l’ex palazzo delle Poste di piazza Cordusio, gli edifici che l’Unicredit ha lasciato vuoti in centro, l’ex garage multipiano Traversi di piazza San Babila. Se invece, obbedendo al desiderio di Jobs, gli americani puntassero solo ed esclusivamente sulla piazza-salotto di Milano si dovrebbero ricominciare a vagliare ipotesi come quella della seconda torre dell’Arengario o magari del palazzo della Ragione ma stiamo parlando di un dialogo tutto da ricostruire. E il cui iter si presenta comunque lungo».