Qualche cosa si muove negli Apple Store e anche se il movimento è carsico, potrebbe trasformarsi in una rivoluzione che potrebbe cambiare il volto di una delle icone del sistema di marketing di Cupertino. A raccontare i retroscena di quel che succede è il sempre informato IfoAppleStore, un sito tutto dedicato al mondo degli Store di Apple.
La scintilla per il servizio è scoccata intorno alle voci su licenziamenti, riduzioni di orario, cancellazione di servizi e abbattimento degli straordinari nei negozi. Le indiscrezioni su procedure che sarebbero state giudicate inaudite fino a poco tempo fa sono state svelate da alcuni dei dipendenti degli store stessi. Dopo qualche giorno di silenzio, Apple avrebbe ammesso di «avere commesso un errore» e ripristinato, secondo quanto sarebbe stato scritto in una lettera, lo status quo. Ma in realtà, se è vero che licenziamenti di personale precario, tagli di orari ci sono stati, non sarebbe vero che la situazione precedente, dice IfoAppleStore, è stata ripristinata. Anzi, dice il sito americano, siamo di fronte a qualche cosa di più complesso e di più strutturale di un semplice ritocco che ha riguardato alcuni dei negozi meno frequentati e meno centrali: si tratta di un cambio di strategia dettato da John Browett, successore di Johnson, e sostenuta dai vertici di Apple.
Tutto nascerebbe da una differente filosofia dell’attuale responsabile del gruppo che si occupa dei negozi, molto più improntata ad una mentalità tradizionale, per la quale il fine dei negozi deve essere la produzione di un profitto. Al contrario Johnson vedeva gli store come una bandiera, una vetrina, un modo di dare prestigio al marchio e per questa ragione un investimento che poteva costare denaro. Di qui negozi perfetti esteticamente e architettonicamente, realizzati con materiali ricercati e stracolmi di personale e ricchissimi di iniziative anche se in diversi casi il profitto del singolo store non era giustificato dalla spesa per esso. Questa filosofia era stata abbracciata da Jobs, ma non convinceva né Cook né Oppenheimer. In particolare i due manager hanno pressato a lungo Johnson fin dal 2009, anno della prima assenza di Jobs dal lavoro, cercando di convincerlo che i profitti spuntati da altri canali erano superiori, in particolare nel rapporto tra clienti e vendite di Mac pro capite. Quando è stato chiaro che Jobs non sarebbe più potuto tornare nel suo incarico, l’attuale CEO e il CFO avrebbero messo in un angolo Johnson e quando è giunto il momento opportuno, è stato impresso il cambiamento di rotta anche attraverso l’assunzione di un “operativo” come Browett, abituato a ragionare in termini più tradizionali, ovvero su fatturato e profitto invece che sulla semplice soddisfazione del cliente.
Al momento, dice IfoAppleStore, nei negozi Apple c’è infatti una grande enfasi sulle vendite. L’efficienza dei commessi è misurata sulle vendite di iPhone e accessori; si chiede anche ai dipendenti di spingere ad usare l’app per iPhone EasyPay e questo nonostante gli acquisti attuati attraverso di essa non contino come vendita per lo specialista, quindi non vanno nel suo ruolino di marcia. Sono state, come accennato, ridotte le ore di straordinario, e cancellate le ore dei dipendenti ad orario flessibile.
Apple avrebbe anche iniziato a ridurre le spese sotto forma di pulizie durante gli orari di apertura dei negozi, eliminazione di servizi come le Family Room e dei calendario dei corsi a stampa, con l’accorpamento di scaffali di accessori ed espositori per specifiche categorie di prodotto. I vertici di Cupertino avrebbero anche deciso di abbattere le spese per la manutenzione ordinaria dei negozi stessi.
Alcuni “insider” avrebbero una visione cupa sul futuro degli Apple Store al punto che secondo le dichiarazioni rilasciate, ovviamente anonimamente, al sito «l’innovazione lanciata da Apple nel mondo del retail sembra essere arrivata alla fine». La colpa sarebbe di «Persone che arrivano da altre esperienze fallite o fallimentari, hanno ora la possibilità di portare le loro idee da poco in Apple e offuscare quella che è stata una delle più grandi catene di negozi del pianeta». Chiarissima la pesante allusione a Browett che durante la sua permanenza in Dixon ha visto le azioni del gruppo perdere considerevole quota in borsa, assumendo anche alcun controverse decisioni manageriali. Una tesi che non tiene in considerazione il fatto che secondo alcuni osservatori, in realtà, è stato proprio Browett a far sopravvivere Dixon ad una forte crisi che già colpiva il gruppo al suo arrivo nel 2007 e che era diventata formidabile a tra il 2008 e il 2010, gli anni centrali dell’esperienza dell’attuale capo del retail di Apple. Non a caso alla sua partenza le azioni di Dixon si sono inabissate proprio alla luce del timore che il sistema potesse essere messo a rischio dall’addio di Browett.