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Apple, scuse e rimborsi tardivi ma comunque apprezzati

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La cosa paradossale è che Apple comunica di più quando non ha comunicato niente. Proprio da questo apparente paradosso infatti parte tutta la vicenda delle batterie di iPhone e del sistema operativo che rallenta l’apparecchio per evitare gli spegnimenti improvvisi. Il problema è reale, e lo sbaglio di Apple non è quello di aver cercato una soluzione, ma di non avere detto niente riguardo al problema. Tanto che poi, quando il petardo le è scoppiato in faccia, ha dovuto fare marcia indietro, offrire un gigantesco sconto sul prezzo delle batterie per tutto il 2018, e soprattutto spiegare ben bene cosa è successo.

Il nodo da sciogliere però è un altro. Apple si è scusata, ha fatto male a non dire niente, come testimonia il suo comunicato che abbiamo tradotto qui, ma ha preso ben di mira i critici che insinuano un altro dubbio: che in realtà l’azienda voglia rallentare i suoi dispositivi per spingere i clienti a comprarne di nuovi. L’etica dell’azienda, tanto sbandierata da Tim Cook, viene ferita proprio da questo sospetto: ce lo aspetteremmo da una Google o da una Facebook, ovviamente anche da una Microsoft, ma mai dalla pura, bella e brava Apple. Eppure, il silenzio lascia intendere quello che la gente vuole, e molti non si fidano e intendono proprio questo.

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Ora, sul fatto che Apple non sia un’azienda non profit che fa quel che fa per il bene dell’umanità, ovviamente siamo tutti d’accordo. Anche al netto della retorica aziendalista americana che vede la “missione” aziendale sempre come qualcosa di superiore al bieco interesse economico. Però di quello alla fine parlano tutti e la poltrona di Tim Cook appare per adesso molto salda proprio in virtù dei risultati economici. Apple e Tim Cook vincono non tanto perché fanno la cosa giusta, ma soprattutto perché guadagnano un botto di soldi. Se guadagnassero meno facendo solo investimenti altamente etici, gli azionisti cercherebbero altri amministratori: è poco ma sicuro. Dopotutto è una società per azioni, non una società di mutuo soccorso o una cooperativa con finalità morali.

La posizione che Apple ha preso con Tim Cook, uomo che non può certo vendere al mercato una visione strategica paragonabile a quella che aveva Steve Jobs e invece ha avuto l’intuizione di giocare la carta dei valori, è delicata. Infatti è vero da un lato che il mercato sta impazzendo, con la vendita dei dati degli utenti come fossero buoi al mercato, con regolamentazioni che fanno sembrare il Far West un esclusivo e secolare club londinese, mentre l’idea che ci sia qualcuno che persegue il bello e il buono può apparire semplicemente folle ad alcuni. E infatti Apple divide moltissimo: l’azienda continua a vincere, vende tantissimo, i dati che abbiamo dagli analisti sul passaggio tra Black Friday e Natale sono esplosivi, ma al tempo stesso in molti si aspettano che sia solo un’altro gigantesco, avido gigante del mercato, pronto a stritolare noi poveri consumatori per succhiarci tutti i soldi possibili. È così?

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Tim Cook ha detto in tutti i modi di no. Il silenzio sulla batteria degli iPhone fa pensare ragionevolmente che sia invece possibile. Dove sta la verità? Apple ha veramente voluto avviare il motore dell’obsolescenza programmata e “uccidere” gli iPhone con batteria avariata per stimolare le vendite dei nuovi? Non occorre credere alle scie chimiche per vedere il complotto anche qui, ma le cose potrebbero essere anche diverse. Apple si dice convinta della sua scelta, paga lo scotto del silenzio con lo sconto sulle batterie nuove per tutto il 2018, andrà in tribunale per quanto riguarda le class action (e probabilmente la riduzione di prezzo sulle batterie basterà per tamponare future class action), ma non rinnega la sua scelta tecnologica: gli iPhone con batteria usurata si spengono all’improvviso e questo è inaccettabile. Piuttosto, loro li rallentano.

Il dubbio se il bambino abbia le mani sporche di marmellata perché la stava rubando oppure perché il barattolo è caduto mentre rimetteva a posto i bicchieri per adesso resta. Il comportamento però, al di là delle intenzioni, è quello giusto: scuse, spiegazione, coerenza, sconto, decisione di cambiare strategia. Un giudice, che si basa su questo e non su intenzioni e dietrologie, riconoscerebbe una intenzione di ravvedimento e giudicherebbe positivamente la svolta. Il problema è quanto grave vogliamo considerare il precedente e quanto convincenti le spiegazioni. Adesso sta a noi, non a loro.

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