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I cinesi chiedono codice sorgente, Apple dice no

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Negli ultimi due anni le autorità cinesi hanno chiesto ad Apple due volte di ottenere codice sorgente ma la richiesta è stata in tutte e due i casi respinta. L’ha detto Bruce Sewell, Senior Vice President e consulente legale di Apple, parlando martedì 19 aprile nel corso di un’audizione con la Commissione per l’Energia e il Commercio alla Camera per parlare della questione cifratura.

Nell’audizione che aveva come tema: “Decifrare il dibattito sulla crittografia: prospettive per l’industria e rispetto della legge”, Sewell ha difeso la Mela dalle insinuazioni di avere ceduto dati al governo cinese per motivi commerciali rifiutando invece di collaborare con il governo USA integrando backdoor che consentirebbero alle forze dell’ordine di accedere ai dispositivi.

I rapporti con la Cina sono stati oggetto di discussione nella prima parte dell’audizione quando Charles Cohen, comandante della Polizia dell’Indiana, ha parlato di voci secondo le quali Apple sarebbe stata disposta a fornire dati ai funzionari cinesi. La sua posizione è stata attaccata da Anna Eshoo, californiana (democratica) Rappresentante della commissione che ha obbligato Cohen ad ammettere che la sua unica fonte di informazioni erano voci senza prove circolate sui media.

Nel suo semestrale report con i dettagli delle richieste di informazioni da parte di autorità governative e forze dell’ordine, Apple evidenzia che dalla Cina sono partite negli ultimi sei mesi 32 richieste di informazioni relative a 6724 account; nel semestre precedente le richieste sono state 24 relative a 85 diversi account. Non è dato sapere per quante di queste richieste Apple abbia accordato la collaborazione.

In una diversa audizione sempre davanti alla Commissione per l’Energia e il Commercio, Sewell ha asserito che l’inclusione di backdoor nei prodotti Apple creerebbe problemi “per il 100%” dei suoi utenti.

Richiamando l’attenzione sulla potenziale utilità di accedere ai dati privati, Thomas Galati, a capo dell’intelligence per il Dipartimento di Polizia di New York, ha spiegato che tra ottobre 2015 e marzo 2016, gli investigatori non sono riusciti ad accedere a 67 dispositivi Apple. Di questi, 44 sono device di casi che riguardano crimini violenti, inclusi 10 omicidi, due stupri e una sparatoria a un agente in servizio.

Al centro dell’attenzione mediatica è in questo momento un caso in discussione a New York che riguarda un sospetto trafficante di droga e suoi complici. A marzo di quest’anno il Magistrate Judge di New York, James Orenstein, ha stabilito che il governo non ha l’autorità giuridica necessaria per obbligare Apple o qualsiasi altra azienda, a scardinare i suoi meccanismi di protezione. Qualche giorno addietro Apple ha chiesto l’archiviazione sostenendo che il governo non ha dimostrato di avere esaurito tutti gli altri strumenti a sua disposizione per ottenere i dati. Nel documento è esplicitamente citato il caso San Bernardino, evidenziando che l’FBI è riuscita a individuare altre modalità per ottenere accesso all’iPhone, senza coinvolgere Apple. “Il governo ha fallito completamente nel dimostrare la necessità che l’ordine di sblocco sia necessario per il mandato di perquisizione” si legge nei documenti inviati dai legali di Apple al giudice distrettuale Margo Brodie, “compreso l’esaurimento di tutte le altre vie per ottenere le informazioni ritenute necessarie”. “Prima che il governo chieda ad Apple di svolgere il lavoro per conto delle forze dell’ordine, dovrebbe dimostrare di avere eseguito approfondite ricerche e che non è in grado di ottenere i dati di cui ha bisogno senza l’assistenza di Apple”.

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