Una volta avrebbero spedito una nave portacontainer piena di iPhone, ma ci avrebbe messo settimane (anche se non è escluso che l’abbiano fatto): invece, con un ponte aereo che ricorda quello che ha salvato Berlino dall’assedio sovietico durante la Guerra Fredda, Apple ha cercato di salvare l’America dalla carestia degli iPhone.
O meglio, dal previsto balzo dei listini causati dai dazi di importazione voluti da Donald Trump che porterebbero fuori scala i prezzi dei telefoni e degli altri dispositivi Design in Cupertino, Made in China o in India.
Così, come racconta il Times of India, almeno cinque aerei carichi di iPhone e altri prodotti hanno fatto la spola dal subcontinente fino alla California in appena tre giorni, la scorsa settimana. È una delle più grandi operazioni di logistica d’emergenza del settore retail per l’elettronica che i mercati abbiano mai visto e che Apple ha messo in campo nell’ultima settimana di marzo, come confermato da alti funzionari indiani al giornale di Mumbay.
Una vera e propria corsa contro il tempo per evitare i nuovi dazi imposti dall’amministrazione Trump, entrati in vigore il 5 aprile e che colpiscono India e soprattutto la Cina. Non si tratta di voli ordinari ma di trasporti eccezionali, organizzati in un periodo generalmente considerato di bassa stagione per le spedizioni, ma che in realtà è diventato un periodo di intenso fermento.

Un’azione che rivela quanto seria sia la minaccia dei dazi per il gigante tecnologico. E anche un discreto risultato per quella “macchina della logistica” che è sempre stato il punto forte della carriera di Tim Cook. Quindi, le fabbriche in India e Cina hanno accelerato le spedizioni verso gli Stati Uniti in previsione delle ulteriori nuove tariffe, riempiendo i magazzini americani di Apple di “scorte sufficienti per diversi mesi” (secondo quanto raccolto dalla stampa internazionale).
Questa strategia di accumulo permetterà all’azienda di mantenere temporaneamente i prezzi attuali, nonostante le nuove imposizioni. Gli aeromobili sono partiti carichi dell’equivalente moderno delle spezie e dell’oro prodotto nelle colonie industriali, sono una specie di metafora della disfunzionalità dei mercati quando si inserisce una variabile “fuori controllo” come Donald Trump.
Attraverso oceani e continenti interi è andata avanti una corsa frenetica contro la scadenza del 5 aprile che avrà impatti nei mesi e negli anni a seguire, anche per prodotti non ancora commercializzati come l’iPhone 17. Un’immagine che rappresenta plasticamente la globalizzazione messa sotto pressione dalla nuova ondata protezionistica.
La guerra dei dazi che nessuno voleva
Il panorama si complica ulteriormente con l’annuncio di dazi reciproci del 26% che entreranno in vigore il 9 aprile, destinati a influenzare le future strategie produttive di Apple. Qui bisogna spiegare un attimo alcuni passaggi. Gli Stati Uniti restano un mercato cruciale per i prodotti dell’azienda, che almeno in questa prima fase sta cercando di evitare di trasferire i maggiori costi ai consumatori.
Uno scenario che potrebbe avere ripercussioni sia sulla domanda che sui margini di profitto, in un mercato già saturo come quello degli smartphone. È l’inizio di una guerra commerciale che potrebbe sconvolgere equilibri che fino a ieri pensavamo consolidati. L’amministrazione Trump ha inoltre annunciato dazi del 54% sui prodotti cinesi, creando un divario significativo rispetto al 26% imposto sulle importazioni dall’India.
Questo differenziale di 28 punti percentuali rappresenta un potente incentivo economico per Apple ad accelerare il trasferimento della produzione dall’Asia orientale al subcontinente indiano. Le aziende producono dove conviene, e la politica dei dazi serve a questo: sta ridisegnando rapidamente la mappa della convenienza globale e (nelle intenzioni di Trump) dovrebbe rimettere al centro gli Stati Uniti.
Una situazione che spiega perché Apple abbia già iniziato a spostare parte della produzione di iPhone e AirPod in India. E che fa chiedere anche ai consumatori europei e italiani se cambieranno i prezzi visto che le importazioni direttamente dalla Cina e dall’India non hanno cambiato regime di dazi.

Consumatori in preda al panico
A prescindere da come le singole aziende sceglieranno di far assorbire i nuovi costi introdotti dai dazi, gli effetti si vedranno sul consumo. Infatti questa situazione non si limita alle strategie aziendali, ma si riflette direttamente sul comportamento dei consumatori americani e poi internazionali.
Torniamo a Cupertino. Secondo voci raccolte dalla stampa americana, molto preoccupata per l’andamento dei dazi, i dipendenti di diversi punti vendita Apple negli Stati Uniti hanno riferito di negozi affollati durante il fine settimana del 5-6 aprile, con clienti preoccupati che i prezzi possano aumentare drasticamente. Un’atmosfera simile al periodo natalizio, con persone che si precipitano a comprare iPhone prima che i prezzi salgano. “Quasi ogni cliente mi ha chiesto se i prezzi aumenteranno presto“, ha dichiarato a Bloomberg un dipendente che ha preferito rimanere anonimo.
Il panico degli acquirenti si è tradotto in un aumento delle vendite, con i negozi al dettaglio di Apple negli Stati Uniti che hanno registrato vendite più elevate rispetto agli anni precedenti, almeno in alcuni mercati principali. La febbre da acquisto anticipato, che poi si chiama più correttamente “accaparramento”, potrebbe addirittura dare un impulso ai risultati di Apple nel terzo trimestre fiscale, che si conclude a giugno.
Poiché l’azienda sta vendendo l’inventario già accumulato, l’impatto dei dazi probabilmente non si farà sentire fino al trimestre successivo. Una boccata d’ossigeno temporanea per i conti dell’azienda?

Il crollo in borsa
Mentre nei negozi si registra un aumento delle vendite, come sappiamo le Borse sono esplose. In particolare, a Wall Street il titolo Apple è crollato. La valutazione dell’azienda è diminuita di più di mezzo trilione di dollari negli ultimi due giorni di contrattazione della scorsa settimana. Il titolo ha subito il peggiore tracollo in tre giorni dalla fine della bolla dot-com nel 2001, con un calo complessivo del 19% pari a 638 miliardi di dollari evaporati.
Gli investitori sono spaventati dalla forte dipendenza di Apple dalla Cina per la produzione, con l’iPhone che rappresenta circa il 50% delle entrate dell’azienda. Secondo le stime di TechInsights, il dazio sulle merci cinesi potrebbe aggiungere circa 300 dollari all’attuale costo hardware di 550 dollari di un iPhone 16 Pro, che attualmente si vende al dettaglio a 1.100 dollari.
Apple potrebbe limitare i danni importando telefoni dall’India, dove la tariffa è circa la metà rispetto alla Cina. Gli analisti stanno cercando di valutare l’impatto di un dazio del 54% sui prezzi, con alcuni che ipotizzano che gli iPhone di oggi e del futuro potrebbero presto costare migliaia di dollari l’uno.
La via d’uscita indiana
Quindi, un primo effetto conferma le strategie di Tim Cook in piedi già da tempo e l’India sta assumendo un ruolo sempre più importante nella rete di produzione globale di Apple, mentre l’azienda sposta sempre più produzione dalla Cina. Già prima dell’annuncio dei dazi, infatti, Apple era sulla buona strada per produrre circa 25 milioni di iPhone in India quest’anno, secondo gli analisti. In condizioni normali, circa 10 milioni di questi sarebbero destinati al mercato locale indiano.
Se Apple dovesse reindirizzare tutti gli iPhone prodotti in India verso gli Stati Uniti, potrebbe soddisfare circa il 50% della domanda americana per il dispositivo quest’anno. Apple ha iniziato a lavorare con partner per assemblare iPhone in India dal 2017, partendo dai modelli più vecchi e ampliando gradualmente fino a includere quelli più recenti. Questa strategia affronta sia il rischio legato alla Cina sia evita i dazi all’importazione quando vende in India, uno dei mercati di smartphone in più rapida crescita al mondo.
La produzione dell’azienda è ancora concentrata in Cina, dove i suoi partner di produzione come Foxconn gestiscono enormi strutture, sfruttando la profonda rete di fornitori, manodopera qualificata e supporto governativo del paese. Adesso, si rivela un’arma importante per gestire l’impensabile: i super-dazi americani.
Prospettive sul futuro
Mentre Apple cerca soluzioni temporanee, gli aggiustamenti rappresentano una misura d’emergenza mentre l’azienda tenta di ottenere un’esenzione dai dazi di Trump, come già avvenuto durante la prima amministrazione Trump. L’azienda considera la situazione attuale troppo incerta per stravolgere gli investimenti a lungo termine nella sua catena di approvvigionamento, che è centrata attorno alla Cina.
Trump ha minacciato di aggiungere ulteriori dazi alla Cina se il paese non rimuove i dazi di ritorsione annunciati dopo la rivelazione dei piani tariffari statunitensi. Gli analisti e i fornitori hanno affermato che spostare la produzione di iPhone negli Stati Uniti, come auspicato da Trump, sarebbe economicamente insostenibile poiché il costo sarebbe di gran lunga superiore al costo del pagamento dei dazi.
“Se i consumatori vogliono davvero pagare un iPhone 3.500 dollari, allora va bene produrli nel New Jersey o in Texas o in un altro stato“, hanno dichiarato gli analisti della società di ricerche Wedbush. Una prospettiva che evidenzia l’assurdità della situazione per un’azienda globale come Apple, stretta tra le logiche della politica e quelle dell’economia.
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