Della necessità e delle difficoltà di Apple nel ridurre la dipendenza dalla Cina si parla da diverso tempo, ma adesso ci sono i numeri di una nuova ricerca di Bloomberg di cui riportiamo alcuni passi e che indica circa 8 anni come tempo necessario per spostare altrove un misero 10% dell’intera produzione.
Non è un caso che gran parte della produzione di Apple avvenga a Shenzhen e dintorni. Primo perché la città è posizionata strategicamente, fungendo da punto di connessione tra la Cina continentale e Hong Kong: è uno dei più grandi centri di spedizione al mondo, con un enorme porto per container. E poi c’è il governo cinese, che ha scelto proprio Shenzhen come prima “zona economica speciale” (SEZ) del paese (le SEZ offrono generosi incentivi fiscali incoraggiando gli investimenti esteri). Sono queste due cose che hanno permesso alla Cina di crescere a un tale ritmo.
Anche se nel 2019 si diceva che Apple avrebbe potuto facilmente spostare dal 15% al 30% della sua produzione al di fuori della Cina, la realtà è ben diversa.
Terzo e non ultimo, la SEZ è stata fondata nel lontano 1980, il che significa che la città ha avuto oltre 40 anni per diventare il centro manifatturiero del mondo tecnologico. Apple fa affidamento su una vasta rete di fornitori e subappaltatori, alcuni dei quali possono produrre solo un minuscolo componente. La maggior parte di questi ha sede a Shenzhen e nelle immediate vicinanze, quindi ha senso raccogliere tutta la logistica per l’assemblaggio in un unico posto.
Come dicevamo a far luce sulla questione ora ci sono i numeri della ricerca di Bloomber: circa otto anni per spostare soltanto il 10% della capacità produttiva di Apple al di fuori della Cina, dove attualmente viene prodotto circa il 98% degli iPhone.
Il fatto è che decine di fornitori locali di componenti, per non parlare di trasporti, comunicazioni ed elettricità, rendono particolarmente difficile uscire da quella che a conti fatti è la seconda economia più grande del mondo.
D’altronde la Cina rappresenta il 70% della produzione globale di smartphone e i principali fornitori cinesi hanno in mano quasi la metà delle spedizioni mondiali, motivo per cui in questa regione la catena di approvvigionamento è talmente ben sviluppata che – sostengono gli analisti Steven Tseng e Woo Jin Ho – difficilmente si riuscirebbe a replicare qualcosa di simile ed Apple potrebbe perdere tutti i suoi vantaggi qualora dovesse spostarsi altrove.
La sua posizione (quella di Apple) è per altro molto peggiore rispetto a quella di altri giganti tecnologici statunitensi come Amazon, HP, Microsoft, Cisco e Dell, che pure fanno affidamento alla Cina per la produzione di componenti per server, memorie e altri prodotti per le reti: nella maggior parte dei casi – dicono – la dipendenza complessiva dell’industria tecnologica potrebbe essere ridotta del 20-40% entro il 2030, «ma l’entità della loro dipendenza è di gran lunga inferiore a quella di Apple».
Secondo un recente sondaggio dello US-China Business Council le aziende americane sono più pessimiste che mai sulle operazioni di produzione nel paese, soprattutto per i lockdown per COVID che bloccano tutto, ma anche per via della relazioni tra USA e Cina e per l’aumento dei costi; tra le altre problematiche citate ci sono anche «politica industriale e degli appalti, concorrenza e sicurezza informatica relativa a stoccaggio di dati e informazioni personali.
Nell’ultimo anno circa un quarto delle aziende americani con attività manifatturiere in Cina ha spostato parte della sua produzione al di fuori del paese, ma non si è trattato di un vero e proprio trasferimento quanto piuttosto di creare un piano di emergenza al quale fare affidamento: il grosso della produzione per ora rimane in Cina.