La storia è semplice: un giudice americano ha analizzato per bene i comportamenti di Google nel settore del search, che copre più della metà del fatturato dell’azienda (il search sono le attività pubblicitarie legate al motore di ricerca di Google, che poi ha anche altre entrate) e ha deciso che si tratta di un comportamento anticompetitivo. Proprio come quarant’anni fa venne deciso che Microsoft aveva un comportamento anticompetitivo con il suo browser dell’epoca Internet Explorer.
Le conseguenze devono ancora venire fuori, ma una toccherà certamente Apple e Samsung, perché le due aziende vengono pagate profumatamente per tenere Google come motore di ricerca di default nei loro browser soprattutto sugli smartphone. Essere il default dà un potere che non deve essere sottovalutato (e il giudice americano non l’ha fatto) perché porta con sé la conseguenza che la quasi totalità degli utenti si attenga a quella configurazione.
Figuriamoci, oggi la gente continua a confondere motori di ricerca e browser, e pensa che se usa Safari per cercare qualcosa usa il motore di ricerca “Safari”, idem per Firefox, Chrome, Edge e Brave (per poi citare anche gli altri). DuckDuckGo e tutti gli altri praticamente non sono pervenuti al grande pubblico.
Siccome costruire un motore di ricerca non è più una attività come quella fatta dai due fondatori di Google, cioè in lavoretto che si fa in un garage con quattro computer, ma è diventato uno sforzo epico che costa miliardi di dollari, uno dei ragionamenti del giudice è stato: Apple poteva essere un avversario per Google sviluppando il suo motore di ricerca (cosa di cui si era parlato, alcuni anni fa) ma poi ha scelto di non farlo perché, a fronte di un costo enorme avrebbe avuto scarsi ritorni economici mentre, senza fare fatica, può guadagnare 20 miliardi di dollari all’anno.
Stesso ragionamento anche per Samsung, ovviamente. E questo spiega perché Microsoft ha cercato di trasformare Bing in un vero e proprio motore di ricerca, con scarsi risultati soprattutto in passato, mettendolo dentro il suo Edge. E poi arrivata OpenAI a sparigliare con la sua idea ovvia di utilizzare l’AI come motore di ricerca, che risponde però non indicando i siti migliori, ma “risucchiandone” il contenuto per “capire” come rispondere.
La parte in cui Google è colpevole, finora, è proprio questa: aver pagato a destra e a manca per eliminare gli incentivi alla competizione. Abusando della sua posizione dominante.
La cosa però si sta per trasformare, oltre che in una tempesta perfetta per Google, anche in un grosso mal di testa per Apple. Uno di quei mal di testa che, secondo gli analisti e le carte rese pubbliche durante il processo, vale circa 20 miliardi di dollari di dollari.
Apple dovrà rimboccarsi le maniche e fare cose: a partire da Siri, che con o senza l’AI dovrà comunque assumere una personalità più spigliata e rispondere a modo. E farlo prima del 2026. Poi, risolvere l’ambiguità che nei suoi sistemi c’è tra Spotlight (la ricerca interna al computer o al dispositivo nei documenti locali ma non solo), Siri e i motori di ricerca esterni. È poco trasparente, si capisce poco e francamente alle volte fa venire voglia di aprire una finestra del browser e usare semplicemente Google.
Il mal di testa da 20 miliardi non sarebbe una preoccupazione estrema, visto soprattutto il livello di fatturato dell’azienda, ma quando ci sono crisi finanziarie, politiche e legali (il titolo di Apple ha perso in Borsa dopo l’annuncio della sentenza) ogni soldo va tenuto in cascina. La decisione di lunedì scorso va nella direzione di Apple e quindi l’azienda dovrà rapidamente inventarsi qualcosa.
Va detto che, se Google riceve questo colpo in un pessimo momento (proprio quando arriva lo spauracchio del search fatto da OpenAI con SearchGPT) dall’altro lato però Apple ha dalla sua che sta effettivamente già lavorando per “smontare” tutta la sua infrastruttura tecnologica dei sistemi operativi e ricostruirla attorno all’intelligenza artificiale, anzi la Apple Intelligence come Tim Cook ha voluto chiamarla.
Adesso quindi, se effettivamente questa tecnologia arriverà velocemente e funzionerà, ci sarà modo per Apple di recuperare dalla perdita di Google come default nel suo browser. Magari con un altro sistema basato su AI per poter fare ricerche trasversali tra siti, risorse online e offline, sistemi di configurazione e materiali derivati dalla conoscenza del singolo proprietario dell’apparecchio.
Inoltre, vale la pena ricordare che non molto tempo fa Apple ha comprato anche una agenzia pubblicitaria che fa inserzioni di tipo programmatic su Internet: una risorsa per lanciare un nuovo sistema di ricerca monetizzabile? Senza però andare in conflitto con la privacy degli utenti, che Tim Cook ha ribadito più volte essere un diritto universale per tutti.