La lunga causa legale contro le perquisizioni di Apple ai dipendenti è alle battute finali: l’esito è positivo per questi ultimi, che dopo diversi anni dall’avvio dall’azione collettiva, ottengono il risarcimento per il tempo perso durante ispezioni e perquisizioni, operazioni effettuate quotidianamente per sei anni consecutivi.
Era il 2009 quando Apple cominciò a chiedere ai dipendenti che lasciavano il negozio a fine turno di lasciarsi ispezionare lo zaino per controllare se dentro ci fossero dei dispositivi che non dovevano esserci. Insomma, per combattere i furti l’azienda non si lasciava scappare neanche una borsa: in un certo senso potrebbe essere anche giusto, visto che non vende noccioline, ma il punto è che questi controlli avvenivano alla fine di ogni turno e richiedeva dai 5 ai 20 minuti di tempo che veniva sottratto alle persone e non veniva neppure retribuito.
La polemica non fu inizialmente accolta da Apple, che rispose picche spiegando che chi non voleva essere controllato semplicemente non doveva portare bagagli (e neppure il proprio iPhone) a lavoro. Perciò nel 2013 un cospicuo numero di dipendenti stanchi di perdere tempo ha intrapreso un’azione collettiva per chiedere che Apple smettesse di controllargli gli zaini e che gli risarcisse i minuti – divenuti nel frattempo ore – non pagati mentre venivano controllati all’uscita.
Questo come dicevamo accadeva in California, dove una legge impone proprio il pagamento degli straordinari. Apple per altri due anni continuò imperterrita con le ispezioni, poi nel 2015 le interruppe, concentrandosi sulla causa che sta volgendo a termine proprio in questi giorni.
L’udienza finale si svolgerà a luglio, ma nel frattempo la causa si può dire chiusa perché l’azienda ha accettato di pagare 29,9 milioni di dollari per risarcire i 14.683 dipendenti (dislocati in 52 diversi Apple Store del paese in questione) sottoposti ai quotidiani controlli avvenuti tra il 25 luglio 2009 e il 10 agosto 2015. Tolte le spese legali, ognuno di loro riceverà 1.286 dollari.