Meno male che c’è l’umiltà. Apple ha tanti difetti, come tutte le organizzazioni e tutti i singoli, ma sta dimostrando di avere anche una grande qualità: l’umiltà. Ovvero, il coraggio di sbagliare, di provarci, ma poi di ammettere i limiti delle scelte fatte e tornare indietro, ridisegnare tutto, proporre una versione che funziona meglio, fatta questa volta a regola d’arte.
Molti di noi se ne sono accorti guardando Apple Musica, l’app per la gestione e riproduzione della musica venduta sullo store, di quella proposta in streaming e dei nostri MP3. Cos’è successo? Apple Musica, come iTunes, è stata vittima di una decennio di crescita spettacolare, di aggiungersi di opzioni e funzioni, di trasformazione profonda che alla fine ha snaturato e inutilmente complessificato qualcosa che invece nelle intenzioni doveva essere semplice, funzionale, immediato, diretto. Con iTunes sul versante App Store ancora non ci siamo (speriamo che la cura di Phil Schiller abbia ragione delle complessità e dei compromessi) mentre con Musica adesso siamo a un buon livello.
Le ultime versioni magari ancora non sono zen ma raggiungono sicuramente un livello di semplicifità, di eliminazione delle complessità inutili, di coordinamento tra Mac, iPhone, iPad, Apple TV, che è davvero encomiabile. Come i nostri lettori vedranno alla fine di questa tornata di aggiornamenti dei dispositivi con la Mela, i progressi sono di sostanza e valgono la pena di aver aspettato a lungo.
La stessa cosa si nota con il nuovo Apple Watch Series 2, molto più potente e con batteria potenziata, ma anche con il nuovo watchOS 3. In questo caso Apple ha fatto due passaggi (le prime due versioni) che avevano degli errori di fondo. Pensato per funzionare su hardware molto meno potente, watchOS 1 e 2 aveva parti pensate male e programmate peggio, senza riuscire a sfruttare appieno le risorse dell’hardware e quindi a fare quel che ci si aspetta da un orologio smart: funzionare velocemente e in modo fluido.
Per risolvere i problemi di velocità, che poi nel tempo in realtà la versione definitiva di Apple Watch aveva risolto semplicemente con processore più potente e più memoria, gli ingegneri software di Apple Watch avevano introdotto gli “sguardi” (Glances) che erano poi dei widget con schermate “fredde” delle varie app. Servivano a guadagnare tempo rispetto alla fatica richiesta per caricare le app nell’orologio e tutti i dati necessari.
La versione 3 del sistema operativo dello smartwatch non trasforma solo i nuovi Apple Watch series 2 e quelli series 1 ora in commercio, ma anche i “vecchi” Apple Watch di primissima generazione, sia nella versione 38 che 43 millimetri. Perché gli ingegneri di Apple e i loro dirigenti hanno avuto l’umiltà di ammettere gli errori fatti e il coraggio di tornare al tavolo da disegno (metaforicamente parlando) e riscrivere tutto quel che c’era da riscrivere.
watchOS 3 è un sistema operativo praticamente nuovo rispetto ai predecessori e molto, molto più pulito e performante. Come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio, certo. Ma altre aziende, quando hanno prodotto qualcosa non all’altezza delle aspettative, difficilmente hanno avuto il coraggio di tornare indietro e rimettere le cose a posto.
Ancora, sono moltissimi i casi che potremmo citare in cui questo è successo. Un caso è il primo MacBook Air, ma anche molti dei portatili e computer fissi precedenti e successivi. Per non parlare poi delle differenti varianti del sistema operativo. Oppure del cloud, settore nel quale Apple ha insistito con protervia per un decennio, ogni volta producendo qualcosa di meglio e di unico. E poi con le app per la produttività di iWork, che adesso diventano uno strumento potente e straordinario per la collaborazione online.
Apple sta mostrando una ammirabile coerenza nel modo in cui ha organizzato le sue attività. Riesce a innovare, a prendersi dei rischi, ma al tempo stesso finire di riflettere su quel che ha fatto e cercare di migliorarlo costantemente, portandolo al livello degli standard che l’azienda ha deciso di darsi. Non è banale.