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Apple, l’importanza di vincere un Oscar (figuriamoci tre)

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I premi Oscar sono un riconoscimento tecnico dato dalla stessa accademia del cinema americana ai suoi iscritti. È il premio del cinema più conosciuto di tutti, ma ce ne sono anche altri, non ultimi i Leoni d’Oro di Venezia o i César di Cannes. E, a ben guardare, quella mezza tonnellata di premi vari che sono assegnati un po’ ovunque si tenga una rassegna cinematografica. Allora, se Coda (il film prodotto per la piattaforma di Cupertino, Apple TV) ne ha vinti ben tre, dove sta tutta la rivoluzione?

Il vero punto è che non si tratta tanto della vittoria di premi Oscar, peraltro meritatissimi perché Coda è un film incredibile e quasi doloroso da quanto intensamente bello e profondo, quanto del primato nel mondo dello streaming. Un primato di idee e soprattutto di modelli. Un mondo nel quale Apple ha tagliato per prima, e alla grande, un traguardo simbolico e finora elusivo per quanto ha riguardato Amazon e soprattutto Netflix.

Apple, l’importanza di vincere un Oscar (figuriamoci tre)

Quest’ultima è l’azienda nata dalle ceneri di un servizio di noleggio di Dvd per posta che si è saputa trasformare in una azienda hi-tech e che produce contenuti per il piccolo schermo da fruire in streaming. A raccontare cosa sia lo streaming oggi si fa torto a una intera generazione nata con le abbuffate di serie di telefilm messe a disposizione tutte in un colpo solo, ma in realtà è un modo nuovo e ancora tutto da finire di inventare di creare e presentare contenuti video.

Anzi, Netflix in qualche modo ha creato un paradigma, cercando di diventare la piattaforma di tutti i canali possibili, un po’ sulla falsariga di YouTube, con una programmazione quasi infinita e un motore di raccomandazione degno di quello del negozio di Amazon per tenere gli utenti “dentro”. Formula abbonamento, infiniti contenuti di archivio e tante nuove produzioni, con l’ansia di creare nuovi contenuti grazie alla possibilità di investire quantitativi di soldi inediti per quanto riguarda la tradizione di Hollywood e delle produzioni televisive.

Arriva Prime, che fa competizione a Netflix cercando di giocare una partita simile. Attrae gli utenti con un servizio che è parte di un pacchetto più ampio (dentro Prime ci sono le spedizioni gratuite, musica, libri e spazio cloud per le foto, tra gli altri) e tutt’altro che sguarnito. Seguendo una intuizione del re, cioè dei Jeff Bezos, Prime cerca di spingere sulle produzioni autonome anche e soprattutto di fantascienza. The Expanse, bellissimo, è l’esempio classico.

Ci sono tentativi di vario genere, come quello rapidamente tramontato della serie sulla politica americana scritta da Garry B. Trudeau, il cartoonist politico più famoso d’America e colonna del Washington Ppst che è a sua volta diventato proprietà di Jeff Bezos. Tutto si tiene, insomma. E come questo, più o meno noti, ci sono decine di altri tentativi.

Insieme, Amazon e Netflix ricreano una specie di “sistema network” come quello fatto dai grandi network televisivi americani, Abc, Nbc. Cbs e vari altri, che si spartiscono i pubblici da casa. Un sistema che è costruito attorno a una idea, cioè quella che ci sia un “modo” per fare televisore in streaming e che quel modo sia dominato dagli algoritmi, da una offerta senza fine e da un esercizio muscolare di potere economico. Chi ha più soldi, vince.

Un “sistema” al quale cerca timidamente di partecipare anche Google, ma a modo suo: l’inerzia di YouTube, gigantesco contenitore informe di qualsiasi cosa (con giganteschi problemi di copyright, tra le altre cose) fa fatica a trasformarsi in una piattaforma di streaming a pagamento. Però ci prova, magari a cominciare dalla musica, spazio che si sa offre minore resistenza e un maggior numero di possibilità visto i costi ridotti dei cataloghi musicali, oramai venduti all’ingrosso da un settore che ha capito che può fare solo soldi se entra in tutte le piattaforme e non rimane racchiuso dentro Spotify.

Arriviamo ad Apple. Lei che ha una sua Apple Tv, la piccole scatoletta che nel tempo è diventata una specie di iPad connesso al televisore, capace di far andare giochi, app sempre più complesse e molte altre funzionalità avanzate. Accanto a questo Apple ha pensato una strategia sostanzialmente diversa: anziché costruire il suo servizio di streaming, come ha fatto peraltro Disney con Disney+, ha pensato di costruire una “piattaforma delle piattaforme”. La vera forza di Apple Tv+ sta infatti nella capacità dell’hardware, soprattutto in America, di cercare e presentare i contenuti di tutte le app presenti sull’App Store.

In questo modo, pensano a Cupertino, il televisore “con Apple Tv” diventa un televisore “di Apple”. Sopra questo, come ciliegina sulla torta, ma spendendo relativamente meno anche se in modo più pensato e strategico, Apple ha giocato la partita dei suoi contenuti esclusivi.

Tutte le piattaforme devono averli ma, a differenza di Netflix e Amazon (e anche Hulu e gli altri negli Usa) questo contenuti sono meno, non c’è materiale d’archivio (a quello ci pensano le altre app) e mirano a lasciare soprattutto un segno. Apple dimostra che si può entrare in un settore come quello della televisione via streaming, cioè delle produzioni cinematografiche e televisive, e innovare. I tre premi Oscar dimostrano che è così.

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