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Apple è la grande sconfitta nel mondo del podcast

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Apple non domina più il mondo del podcast. Le statistiche planetarie sono chiare: YouTube e Spotify stanno prendendo rapidamente velocità.

E pensare che fu proprio Apple a inventare di fatto il termine “podcast”, che è un ibrido tra iPod (il “vecchio” lettore musicale lanciato da Apple nell’ottobre del 2001) e “broadcast”, nel senso di trasmissione (in inglese “to broadcast” vuol dire seminare con gesto ampio, distribuire). Nel 2005 Steve Jobs regolarizzò la pratica creata da alcuni smanettoni di aggiungere a un feed xml un contenuto audio (un file mp3) che si scaricava automaticamente quando veniva aggiornato.

La fine del push per il pull

In pratica, inserendolo dentro iTunes, Apple rese possibile una distribuzione dei contenuti di tipo push anziché pull, in cui cioè non era necessario per l’utente andare a controllare se ci fossero nuovi audio da ascoltare, ma quando questi erano disponibili si scaricavano e venivano sincronizzati automaticamente dietro le quinte con il Mac e quindi con l’iPod.

In venti anni dalla nascita di questo mercato il dominio incontrastato per numeri e volumi era stato sempre di Apple, nonostante iTunes non esista più e le singole trasmissioni oggi abbiano vari canali distribuiti con altre app. Noi ad esempio utilizziamo molto Overcast ma c’è sia la app Podcast di Apple stessa che altre di terze parti.

Tuttavia, i file xml passavano sempre da Apple. Fino a poco tempo fa. Perché sempre più spesso invece sono autonomi: secondo uno studio di Cumulus Media e di Signal Hill Insights, sono Spotify e YouTube ad aver guadagnato un sacco di posizione, sia negli Usa che nel resto del mondo.

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I dettagli della ricerca

Nello studio risulta che il 31% degli utenti americani usa YouTube e il 21% usa Spotify mentre solo il 12% utilizza quella di Apple.

Nonostante quello di Apple sia il servizio più longevo del settore, che anzi come abbiamo visto ha definito il genere dandogli addirittura il nome, va osservato anche altro.

Intanto, che Apple Podcasts non ha generato alcun reddito per la maggior parte della sua esistenza. Apple non vende pubblicità per i podcast e solo nel 2021 ha lanciato l’abbonamento ai podcast, che prevede che gli spettacoli diano ad Apple una parte delle entrate. Senza contribuire alle entrate, è difficile immaginare che la più grande azienda del mondo si preoccupi di promuovere il suo prodotto podcast se non come un incentivo per vendere più hardware.

Inoltre, Android di Google rimane il sistema operativo mobile più diffuso al mondo e fino a poco tempo fa, se si utilizzava un dispositivo Android o Microsoft Windows, non si poteva accedere a Apple Podcasts. Questa settimana, però, Apple ha lanciato un’applicazione web per Apple Podcasts, disponibile indipendentemente dal fatto che gli utenti abbiano o meno un Mac.

L’unico punto in cui Apple sembra mantenere un vantaggio è quando i podcaster contano i “download” invece degli “ascoltatori”. Ma anche questo vantaggio sembra svanire. A partire da aprile, Spotify ha superato Apple Podcast nei download mensili per i podcaster che utilizzano il servizio di hosting Buzzsprout, per esempio, e le cose non sembrano migliorare.

La morale della storia

In conclusione possiamo dire che, semplicemente, si sta chiudendo un’epoca. Apple non ha mai particolarmente coltivato questo ambito, dandolo quasi per scontato. Era una sicurezza, gli altri non riuscivano neanche ad avvicinarsi.

Invece, con l’esplosione del settore e la nascita di un ampio numero di servizi di podcast, era fisiologico che si presentassero altri soggetti molto agguerriti. Non solo per la realizzazione di buoni player funzionali, ma anche per la creazione di piattaforme alternative. Un sorpasso che è difficile giustificare visto la mancanza di sforzi per resistergli.

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