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Apple, la grande corporation sociale

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Cupertino, nel cuore della Silicon Valley, ospita decine se non centinaia di aziende hi-tech. Aziende che conosciamo soprattutto per aver rivoluzionato il mondo della tecnologia. Aziende nate qua e non ad esempio a Boston (dove pure molti startupper hanno studiato) per una serie complessa di motivi e di ragioni. C’era predisposizione del territorio, c’era un consistente mercato di radioamatori, di hobbisti, di capitalisti in cerca di investimenti, di commesse militari (della marina soprattutto), due ottime università (Stanford e Berkeley) e un ingrediente misterioso.

È la Summer of love, la controcultura, i figli dei fiori. Idealismo, desiderio di cambiare il mondo, ricerca di nuovi orizzonti. Non è una trovata del marketing e forse andrebbe messa a tema quanto se non più questa ipertrofica attenzione che viene data allo “essere startup”. Il punto invece è essere sognatori ciascuno nel proprio segmento e campo. Appassionati e desiderosi di dare il massimo.

apple corporation sociale

La capacità degli hobbisti e degli appassionati alla Wozniak per intenderci, ma anche alla Steve Jobs, di appassionarsi al computer come strumento per rivoluzionare il mondo è l’ingrediente segreto della formula che ha reso potente lo spirito tecnologico della California. E allora questo cosa vuol dire con la Apple di oggi, mega corporazione con la più grande capitalizazione di mercato del globo?

Steve Jobs aveva un sogno: si definiva un artista, voleva lasciare un segno (anzi, una tacca) nella storia, considerava il suo lavoro alla stregua di quello di un direttore di orchestra, che non suona un singolo strumento ma suona tutta l’orchestra. La sua visione del futuro, per quanto a cavallo tra società, arte e tecnologia, era comunque forte e di ispirazione, radicata nel Dna dei suoi prodotti. Anche se costruita mettendo in parte assieme pezzi di visioni altrui, la sua idea del computer come “bicicletta per la mente” (che rende l’essere umano più efficiente ed efficace di qualsiasi altro essere vivente) e la sua idea di apparecchi post-Pc sono una determinante del nostro tempo. Disegnano un futuro, un posto dove andare a vivere e dove in effetti stiamo andando.

Con la sua idea di futuro Apple non aveva tempo per beneficienza né per attività caritatevoli: era già impegnata a migliorare la vita delle persone come missione, come oggetto statutario potremmo dire, non c’era bisogno di dirazzare per occuparsene nel tempo libero.

Arriva Tim Cook, uomo di operazioni, che sostituisce Steve Jobs in quanto unico selezionato capace di tenere assieme l’azienda. Una scelta estremamente saggia. Tim Cook, come già Jobs prima di lui, ci mette tutto se stesso. E diventa in qualche modo Apple: sempre più americana, californiana centrata sulla cultura della Silicon Valley (che, come tutte le culture americane, è pionieristica, acquisita e non ereditata). Solo che lui, Tim Cook, non ha una visione del futuro. Non ha una dimensione tale da poter descrivere il cammino verso il quale ci stiamo dirigendo utilizzando le categorie della tecnologia e dell’arte.

Ne ha altre, estremamente importanti e potenti: organizzaione, visione della globalizzazione, capacità di percepire la direzione dell’economia e del progresso. Una innovazione globale che ha superato quella meramente tecnologica. Per quello ci sono Jony Ive e i maghi del computer. Cook è a un livello di astrazione più elevato. Però mancav sempre il mordente, il punto di contatto tra azienda e mondo.

Cook l’ha trovato oggi nei diritti, nei valori umani. Identità, politica, ambiente, genere. La sua dichiarazione di essere omosessuale è “pura” e sincera e al tempo stesso cinicamente orientata al bene di Apple, così come la sua posizione sulla privacy. Altrimenti non l’avrebbe fatto. Non come uomo sul palcoscenico più seguito della rete.

Cook sta riempiendo di un senso nuovo Apple. Un senso che però non è alieno al suo Dna. È un senso idealistico, visionario, calato sui valori. Che apre l’azienda al futuro: ricerca medica, salute, prevenzione, innovazione nel settore della energia, del riciclaggio. Apple innova e lo fa alzando gli standard, creando lrodotti più sottili o più riciclabili, azzerando il consumo di energia inquinante, creando modi nuovi per intendere la parola “ambiente”.

I più anziani ricorderanno che in parte questo nasce da uno scatto di orgoglio di Steve Jobs. Apple venne a lungo bombardata (talvolta in maniera decisamente strumentale, solo per essere sicuri di andare sui giornali) da associazioni ambientaliste che le rimproveravano a ragione la scarsa sensibilità per l’ambiente nella produzione e imballaggio dei suoi prodotti. Il salutista vegano e buddista Steve Jobs si sentì punto nell’orgoglio e decise che Apple avrebbe cambiato il mondo anche da quel punto di vista. Così nacque il primo report sullo stato dei consumi di Apple, studiato per metterla all’ultimo posto rispetto a quello di tutte le altre aziende, perché costruito su standard più duri di tutti gli altri. Sull’intero ciclo di vita dei prodotti e dell’azienda stessa anziché sul mero consumo di watt di in computer acceso o in standby.

Questa mossa era frutto di un ragionamento logico: prima o poi si sarebbe arrivati a trattare l’argomento in maniera completa, “olistica”. Apple, a differenza degli altri che cercavano di rallentare l’inevitabile contenendo i progressi maggiori per magnificare solo i cambiamenti tattici nei singoli prodotti, decise di cavalcare l’onda e fare più di tutti. Oggi quella scelta si è rivelata grandemente ispirata. Come la musica, il cui amore ha portato a iPod e iTunes store, così l’ambiente ha portato a salute e riciclaggio, 100% rinnovabili e grande amicizia ad esempio con la Cina, che ha fame di queste visioni positive rispetto ai suoi capitalisti rampanti e inquinanti.

La Apple di Tim Cook cavalca lo spirito del tempo. Che è rivolto all’ambiente, alle scelte consapevoli, al design sostenibile. E Apple questo sta diventando: una azienda sostenibile by design e per il design. Ci pensa Tim Cook a riempirla con questo senso, aprendo fronti di battaglia per i diritti, per i suoi dipendenti e consumatori, per l’ambiente, per la privacy e la proprietà dei dati. Tutte battaglie in cui sceglie l’angolo dal quale ha sacrosanta ragione e lo persegue con determinazione. Diventando così leader quanto se non più di Steve Jobs.

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