Quando Tim Cook ha preso la guida di Apple, la capitalizzazione di mercato dell’azienda era a 350 miliardi di dollari. Nove anni dopo, cioè oggi, ha superato la barriera dei due “trillion”, cioè duemila miliardi di dollari. Anche altre aziende sono cresciute: oggi Amazon è a 1.600 miliardi, Microsoft a 1.600, Alphabet (Google) a 1.100 miliardi. La cavalcata di Apple però è straordinaria e Tim Cook non riceve tutto il credito che meriterebbe (ma da un punto di vista economico se la cava più che bene).
Un altro indicato della crescita dell’azienda è il valore del titolo: dal giorno della quotazione nel 1980 a oggi il valore del titolo è passato da 22 dollari a 27.859 (al netto degli split). Cioè un guadagno del 126.631%. Altre aziende hanno fatto meglio: Microsoft, che si è quotata sei anni dopo Apple, ha raccolto il 211.000% alla fine del 2019. La vera domanda, quella che si pone anche Jean-Louis Gassée, ex dirigente Apple (è entrato nell’azienda quarant’anni fa) e oggi apprezzato commentatore con le sue “Monday Notes” quindicinali, è se la festa sia finita o se c’è ancora margine per crescere.
Il saggio di Omaha
La domanda interessa in effetti a molti, a partire dagli investitori, che hanno messo e continuano a mettere una montagna di soldi dentro Apple, facendo crescere il valore del titolo. È il caso del “saggio di Omaha”, vale a dire Warren Buffett, forse uno degli investitori di private equity più noti (e più di successo) di tutto il mondo.
Buffett ha la capacità di studiare i dossier e capire i meccanismi dei mercati oltre che le traiettorie delle aziende. È suo il fulminante detto “I mercati azionari nel breve periodo sono delle macchine per votare, mentre nel lungo periodo sono delle macchine per pesare”. Il peso di Apple lo sta a dimostrare e lui si è comprato, a partire dal 2016, ben 250 milioni di azioni, per un valore che oggi gira attorno ai 118 miliardi. E non le vende.
Le sfide
Apple ha di fronte a sé molte sfide. La prima, riflette Gassée, è quella della Cina. Il suo terzo mercato per volumi, al quale la guerra commerciale e daziaria tra Washington e Pechino sta creando problemi. Un colpo mortale? No, però un problema.
Poi c’è la transizione dei Mac al nuovo Apple Silicon, i nuovi iPhone (al 44% del fatturato sempre importanti ma in calo), la crescita necessaria dei segmenti come quello dell’iPad (11% del fatturato), degli accessori (gli AirTags), la potenziale scomparsa del brand Beats e l’integrazione dei suoi prodotti dentro la linea di Apple, il lancio di nuovi apparecchi e accessori, come i controller per la nuova Apple Tv (e la nuova Apple Tv) che aprirebbero ancora di più il mercato del videogame. I bundle per i servizi (musica, storage, giochi, film). Ma non ci sono solo questi passaggi: Apple deve affrontare anche altri problemi.
C’è la lotta in tribunale con chi vuole smantellare il modello di business dell’App Store, con la commissione del 30% e il divieto di vendite di servizi nelle app che non siano vendite in-app di cui Apple prende la percentuale, e altri business. Le audizioni davanti al Congresso e il clima di pressione crescente sia regolamentare che nell’opinione pubblica verso i big del tech (Bill Gates ha detto pochi giorni fa che “Se hai successo come l’ho avuto io e come lo hanno avuto alcuni altri, è giusto che ti vengano fatte domande e richieste dure, toste, anche ingiuste. Il governo ha diritto di prenderti di mira. Questo tipo di messa sotto pressione fa parte del fatto di essere diventate aziende di super-successo”.
Apple, che adesso ricordiamolo vale duemila miliardi, è preparata ed è capace di resistere a colpi sopra e sotto la cintura. È tosta e combatte cercando al tempo stesso di fare la cosa giusta per i clienti. Come, ricorda Gassée, l’agosto del 1997 quando venne fatta “pace” con Microsoft. Un accordo storico che portò ad Apple la liquidità necessaria (e il supporto tecnico per Internet Explorer e Office) che le permisero di andare avanti, mentre Bill Gates ottenne di avere un avversario debole ma comunque utile per allontanare le paure dei regolatori di mercato circa il potere monopolistico di Microsoft. Altri tempi, altre crisi. E oggi?
Gassée, che è rimasto innamorato di Apple chiude dicendo che “forse c’è ancora spazio per far crescere ulteriormente Apple”. Forse. Ce lo auguriamo anche noi. Di sicuro, anche se la crescita è stata enorme, chi guida l’azienda e i suoi manager seguono sempre la massima indicata da Steve Jobs: Stay Hungry, Stay Foolish.