Emergono nuovi dettagli sull’indagine per frode fiscale in corso su Apple Italia: la divisione nostrana della Mela è indagata per una presunta frode di oltre 225 milioni di euro. Risultano indagati Mauro Cardaio, direttore finanziario e anche Enzo Biagini, amministratore delegato di Apple Italia. L’indagine è partita non dal Fisco ma dall’Agenzia delle Dogane mentre nella giornata di domani il Tribunale del Riesame deciderà in merito ai matariali informatici sequestrati presso la sede di Apple Italia in Piazza San Babila a Milano.
Dell’indagine milanese in corso su Apple Italia abbiamo riferito a novembre 2013 quando per la prima volta è circolata la notizia della perquisizione. L’aggiornamento di queste ultime ore e del Tribunale del Riesame in programma per domani sono invece riportati dal Corriere della Sera nella sezione dedicata al capoluogo lombardo. Da ben più di un anno le operazioni e le politiche fiscali delle multinazionali sono al centro dell’attenzione delle autorità non solo di vari governi nazionali, ma anche delle Comunità Europea e degli Stati Uniti. Ricordiamo che solo ieri è circolata la notizia, sempre dal Corriere, di un accordo raggiunto tra Google e il Fisco che è stata però smentita poche ore dopo.
Mentre nel caso di Google, così come avviene nella stragrande maggioranza dei casi che coinvolgono le multinazionali, l’ipotesi di reato è quella di elusione, nell’indagine su Apple Italia si è parlato fin dal 2013 di ipotesi di frode fiscale. Gli anni in esame sono il 2011 in cui Apple avrebbe ridotto di 206 milioni l’imponibile e il 2012 in cui invece l’imponibile sarebbe stato ridotto di 853 milioni di euro, per un totale di mancate tasse versate nel nostro paese stimate in oltre 225 milioni di euro. Dal punto di vista formale, legale e fiscale Apple Italia dovrebbe occuparsi esclusivamente di ricerca, assistenza e supporto ai canali di vendita, in questo modo ricavi e profitti possono essere attribuiti ad Apple Sales International, società irlandese del gruppo, che gode del regime fiscale molto più favorevole dell’Irlanda rispetto a quello italiano.
Invece in base ai documenti presentati per il Tribunale del Riesame, gli inquirenti di Milano sembrano ipotizzare che Apple Italia intervenga direttamente nella formulazione, preparazione e conclusione dei contratti di vendita, non occupandosi così esclusivamente di assistenza e supporto. Il legale difensore di Apple, Paola Severino, ex ministro della Giustizia nel governo Monti e anche rappresentante legale di Google, ha già incontrato in questi giorni sia il pubblico Ministero che il procuratore aggiunto Francesco Greco: gli addetti ai lavori già prevedono un procedimento giuridico lungo e complesso dall’esito incerto, in passato infatti Apple e anche altre multinazionali sono state indagate per contestazioni fiscali poi terminate con l’archiviazione.
Occorre ricordare che Apple non è l’unica multinazionale a trovarsi in questa situazione: praticamente tutte le grandi corporation, non solo quelle di tecnologia, che operano a livello globale impiegano da tempo complessi sistemi di trasferimenti societari per ridurre sensibilmente il carico fiscale. Si tratta di sofisticati meccanismi di elusione, legali dal punto di vista delle leggi nazionali attuali, ma che in un mondo sempre più globalizzato e unito, almeno nei commerci, oggi stridono sotto più punti di vista.
A livello di Comunità Europea la presenza di paradisi fiscali come Irlanda e Lussemburgo appaiono sempre meno giustificabili e ammissibili, lo stesso avviene a livello globale: persino gli USA lamentano dei trattamenti troppo favorevoli disponibili in questi e altri paesi. Il dibattito in materia, non è un caso, si è rafforzato con l’estendersi della crisi economica mondiale degli scorsi anni. L’unica soluzione ipotizzata è una normalizzazione dei trattamenti fiscali nei vari paesi del mondo, un obiettivo non semplice da raggiungere.