“Se potessi avere un euro per ogni persona che mi ha detto di aver comprato il primo Macintosh originale venduto in Italia, oggi sarei ricco”. Così il vecchio cronista ha appuntato sul suo taccuino, anni fa, l’ennesima intervista in cui l’intervistato raccontava praticamente di aver scoperto Apple tutto da solo.
In tanti anni di copertura delle storie di Apple e dell’azienda che dalla soleggiata California ci ha stupito con prodotti e servizi rivoluzionari, uno dei temi sottotraccia più longevi è quello dello sbarco in Italia. Avvenuto ben prima ovviamente dell’apertura ufficiale di una filiale dell’azienda. Per lungo tempo infatti Steve Jobs poteva far di conto su una rete di distributori, grossisti, intermediari e importatori dal resto d’Europa.
Storie mitiche, che anche noi di Macitynet abbiamo vissuto in prima persona perché ormai i capelli bianchi di buona parte della redazione testimoniano una passione per Apple che risale all’inizio degli anni Ottanta se non addirittura fine anni Settanta, quando ovviamente ancora non si parlava di Macintosh bensì di Apple II.
Ed è stata proprio questa macchina, oggi ingiustamente dimenticata, a segnare la storia dello sbarco di Apple nel nostro Paese. L’azienda di Cupertino ha infatti aperto nel 1982, quando Steve Jobs e i suoi lavoravano alacremente su Lisa e Macintosh, e quando l’azienda stava crescendo rapidamente e si stava consolidando con investimenti strutturali e commerciali in giro per il mondo. L’Italia era un logico mercato e chi era ragazzino o giovane all’epoca vedeva sbarcare sempre più spesso quello che per quasi tutti gli anni Ottanta è stato il vero cavallo da traino dell’azienda. Cioè l’Apple II.
Apple II
La macchina che ha consentito ad Apple di diventare quella che è, cioè la macchia che ha prodotto il cash necessario a costruire il successo iniziale dell’azienda è l’Apple II.
Oggi è relegato ingiustamente nelle pagine dei libri di storia dell’informatica, ma in realtà si tratta di un computer estremamente innovativo e potente (per l’epoca) che utilizzava una interfaccia “povera”, a riga di comando, sulla quale era però possibile installare degli abbozzi di interfaccia grafica o utilizzare dei software con una presentazione più moderna dei dati.
L’Apple II è stato il primo vero personal computer per le masse, ha giocato alla pari con i PC Ibm compatibili (che arrivano però solo nel 1981, mentre l’Apple II è del 1977) e ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione del mercato moderno. Prima e dopo ci sono stati gli home computer, come il Vic 20, il Commodore 64, gli Atari e altri modelli pensati come isole separate. Prima della grande standardizzazione imposta da Microsoft e Ibm, in collaborazione con decine di produttori, infatti il mercato era profondamente frammentato.
Un mondo diverso
Quando Apple è sbarcata in Italia, quaranta anni fa, era ancora molto facile trovare persone che utilizzavano computer completamente incompatibili sia per software che per caratteristiche di programmazione e di uso, da tutti gli altri. Ci sono state intere aziende, uffici, studi professionali, che hanno fatto la loro prima digitalizzazione utilizzando macchine che non sono in alcun modo retrocompatibili con niente: né con Pc né con Mac.
Oggi sembra impossibile anche solo immaginarlo visto che siamo abituati a mercati divisi in due o al massimo tre (Android e iOS/iPadOS, Win, Mac e Linux, Safari Chrome e Firefox e via dicendo), ma un tempo gli ecosistemi erano tutt’altro che monoculture od oligopoli. Invece, c’era abbondanza, varietà e diversità. A un unico prezzo: la totale incompatibilità. La qual cosa creava grossi problemi.
La grande convergenza
Oggi sembra strano, perché uno sviluppatore che vuole lanciare una app innovativa è abituato a pensare su economie di scala che lo favoriscono. Sviluppo per Mac o per Windows? Faccio per Android o per iOS? Ci sono framework che riducono ancora di più le scelte (come Electron) perché consentono di sviluppare una volta sola e utilizzare in più ambienti diversi.
Quel che Apple ha fatto con il processore Apple Silicon va proprio in questa direzione: ha semplificato ulteriormente la vita agli sviluppatori che oggi possono creare in pratica una sola app e declinarle l’interfaccia grafica su fattori di forma diversi (è complicato ma meno che crearne un’altra ex novo).
Tuttavia, un tempo lo sviluppatore ad esempio di un foglio di calcolo doveva scrivere il codice per tutti i personal e gli home computer presenti sul mercato. Erano gli anni Settanta, primi anni Ottanta, e questo costituiva un costo e un rallentamento (oltre a un disallineamento di funzioni) notevole. Consentiva da un lato ai piccoli di ritagliarsi la loro nicchia, ma creava problema a chi voleva crescere. Per questo c’era una spinta di fondo per la standardizzazione del mercato: di fatto o tramite alleanze.
Ibm scelte la strada dell’alleanza con Microsoft e decine di produttori hardware (incluse Intel e AMD) per portare in scena una sola piattaforma compatibile (più o meno) con tutto e tutti. Apple cercò come al solito di fare tutto da sola, creando la piattaforma hardware e gli strumenti di base, per poi lasciare spazio all’ecosistema dei piccoli.
Perché l’Italia nel 1982
Lo sbarco in Italia quaranta anni fa si legge in questa ottica: costruire un altro pezzetto della rete distributiva e di assistenza che consentisse all’azienda di prosperare. Apple voleva soprattutto andare incontro al mercato aziendale, dove era più debole (quello è stato il punto di partenza per Ibm e Microsoft nella costruzione della rivoluzione del personal computer compatibile lato Ms-Dos e Windows), e per farlo doveva costruire anche una linea di assistenza post vendita e offrire in generale un rapporto più complesso con i clienti che non la vendita tramite qualche volenteroso e pionieristico distributore.
Inoltre, l’azienda stava preparando computer che scommetteva sarebbero stati innovativi in maniera rivoluzionaria e per farlo per bene doveva avere la sua rete e la sua piattaforma commerciale nel maggior numero di paesi e di mercati possibile. Ogni sede locale voleva dire punti di fatturato in più nei rendiconti dell’azienda che mirava a eguagliare e superare le multinazionali del settore come ad esempio Ibm.
La storia di oggi
Partendo dal 1982 e arrivando a oggi di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima. Adesso Apple è un’azienda profondamente diversa che è cambiata, come una fenice che risorge dalle sue ceneri, più volte. Ha una rete distributiva di proprietà, negozi e sito web, ha venditori per settori (professionali, scolastica, aziendali e pubblica amministrazione) e per aree di business (rapporti con le catene distributive italiane, con gli operatori di telefonia mobile). Inoltre, ha costruito e fa prosperare una rete di Apple Premium Reseller, negozi certificati e legati da un rapporto di esclusiva molto particolare con Apple, che arrivano là dove gli Apple store fisici non riescono.
Quello che è stato il ruolo dell’Apple II, di questo innovativo e straordinario computer progettato per essere contenuto in uno stampo termico di plastica ed espanso con una serie di slot accessibili in maniera piuttosto semplice, è forse l’iPod, che è stato il volano di una straordinaria espansione in tutto il mondo. Dopo l’iMac e prima dell’iPhone e dell’iPad, infatti, l’iPod è stato il piccolo player di Apple che non solo ha cambiato l’azienda (come fece l’Apple II) ma ha sia indicato la direzione che creato il flusso di cassa per riuscire a produrre decine di apparecchi straordinariamente innovativi negli anni successivi. Come l’Apple II fece con il Macintosh.