Ve la ricordate la scena dei Blues Brothers quando Jack Blues incontra in un tunnel Carrie Fisher, alias Mistery Woman che lo vuole uccidere per essere fuggito il giorno del matrimonio? Jack cade in ginocchio e sciorina una serie di scuse improbabili, finendo per intenerire la ex fidanzata con un urlo: “Non è stata colpa mia! Le cavallette! Lo giuro su Dio”. Quel che è accaduto ieri con la lettera con cui Cook ha fatto sapere che Apple aveva sbagliato le previsioni sulle vendite, ed è costretta a tagliare la previsione del fatturato del primo trimestre del 2019 suona ironicamente simile.
Le colpe dentro a quel messaggio vengono attribuite tutte ad una serie di fattori esogeni: il super dollaro, la crisi in Cina, la guerra commerciale con il paese asiatico, persino la campagna di cambio della batteria. Non c’è una sola ammissione di colpa, non un cenno ad errori, nessun elemento di autocritica, il che suona alla maggior parte degli osservatori pericolosamente autoassolutorio, quasi come se Apple non ha sbagliato nulla, ma è stata una serie di eventi che hanno congiurato nonostante una esecuzione perfetta.
Per assumere il punto di vista di Cook basta leggere. Secondo Apple: «Il 100% del nostro calo di fatturato anno su anno a livello mondiale è avvenuto in Cina». È – non dice Apple ma lo lascia chiaramente capire ai commentatori – il dividendo avvelenato della guerra commerciale voluta dalla presidenza americana, cioè da Donald Trump, che interpreta i bisogni e le necessità protezionistiche di altri settori dell’industria americana, non ultima Qualcomm, impegnata in una guerra senza esclusione di colpi con Huawei sul fronte del 5G (oltre alle cause con Apple).
Ma dietro c’è una strategia precisa che non ha funzionato. Concentriamoci sui telefoni, che da soli fanno tra il 60 e il 70% del fatturato di Apple: ci sono – dice Tim Cook – i cicli di aggiornamento prodotto più lunghi da parte degli utenti, prezzi più alti (che abbassano i volumi) e poi il fatto che gli utenti hanno potuto cambiare le batterie dei propri apparecchi a prezzi più bassi.
Quest’ultima è una conseguenza paradossale, se indicata come scusa per il calo di fatturato, dello scandalo dei telefoni rallentati via software quando la batteria è degradata (per evitare gli spengimenti), che però è stata vista come una forma di obsolescenza programmata pianificata da Apple.
In pratica, dice Tim Cook, le persone utilizzano con facilità i propri telefoni più a lungo, fino a 3 anni o più. Apple lo vuole decisamente, fa parte anche della sua politica ambientale, per dire, che prevede non solo di riciclare le componenti dei telefoni da rottamare, ma anche di far utilizzare gli apparecchi più a lungo. Solo che agli investitori l’economia della decrescita felice non piace proprio come idea.
E arriviamo al nocciolo. Di chi è colpa? Delle cavallette, quindi? Questa cosa non può essere digerita da un analista, cui interessa sia cosa è successo sia chi guidava la barca cosa ha deciso. Se gli eventi sono eccezionali, se non c’è una responsabilità diretta (non è stato previsto qualcosa perché incredibile e inaspettato, un cigno nero) allora si va avanti come prima. Ma se chi guida non ha avuto la capacità di capire il cambiamento e adesso accusa tutto e tutti tranne se stesso di quel che è successo, allora ci potrebbe essere un problema più importante. E i mercati, che votano con il portafoglio ma sono anche macchine per la razionalità diffusa (la cosidetta “mano invisibile”) che ragiona più della semplice somma delle parti che li compone, sentono odore di sangue e si comportano di conseguenza.
Apple, cioè Tim Cook, dice che è colpa di tutto e di tutti tranne che di se stessi. E questo è un errore. Anche perché, a ben guardare, le cose sono molto diverse. E il malessere pare essere più psicologico e al tempo stesso strategico che non legato agli avvenimenti esterni. Cioè, il peggior nemico di Apple in questo momento è Apple stessa.
Il punto infatti è, come sostengono ad esempio alcuni critici, che Apple ha perso di vista il modo di fare le cose più importanti, cioè i prodotti. Tutto il resto è conseguenza. Ha perso di vista cioè la modalità di costruizione della gamma prodotti, soprattutto nei telefoni cellulari, è sta cadendo dentro la cosiddetta “sindrome Performa”, che è poi quella specie di malessere psicologico suicida che spinge una Apple profondamente in crisi e priva di una vera leadership di prodotto (cioè di Steve Jobs) a lanciare quasi a casaccio una pletora di apparecchi che non solo si sovrapponevano come prestazione e prezzo, ma che in alcuni casi erano addirittura esattamente gli stessi computer ribrandizzati per dare ipotetico spazio in mercati differenti.
Un esempio della sindrome Performa sono gli iPad, che valgono comunque un ottavo circa del fatturato Apple. Ebbene, qui si mescolano le carte, con penne di prima e di seconda generazione, iPad Lightning e iPad USB-C. E dietro l’angolo ci potrebbe essere ancora di peggio. Pensiamo ai portatili di Apple: MacBook da dodici pollici, MacBook Air 13 Retina, MacBook Pro 13 non TouchBar, MacBook Pro 13 TouchBar, MacBook Pro 15 TouchBar ma ancora c’è anche il vecchio MacBook Air 13 non Retina.
Insomma, cosa sta succedendo? Chi è che si occupa di dirigere l’orchestra e mandare nella giusta direzione l’armonia anziché focalizzarsi sempre e solo sul singolo prodotto e poi sulla complessità della parte logistica, della catena dei fornitori, della produzione, finanziaria, legale e via dicendo?
La colpa alle cavallette non si può dare in eterno perché la Mistery Woman, nel nostro caso il mercato, dopo un attimo di tenerezza è pronta a sparare e sarà ben più precisa di Carrie Fisher con il suo kalašnikov.