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Apple, tra giardino chiuso e parco a tema

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La causa che contrappone Epic Games ad Apple relativamente al “walled garden”, il giardino recintato di App Store, tocca due problemi e non uno. Il primo, più semplice, è che le aziende che producono software non vogliono pagare quella che viene percepita come “tassa di Apple”, cioè il 30% (che dal 2019 è il 15% sui business con meno di un milione di download o un milione di fatturato) sul ricavato dalla vendita, dalle vendite in-app e dagli abbonamenti. L’altro problema, completamente diverso, è che alcuni vogliono che la piattaforma di iOS e iPadOS si apra e consenta altri modi per installare software sugli iPhone e sugli iPad.

Riguardo al primo problema, Apple sta cercando di dimostrare che la “tassa” del 30% è invece il prezzo non solo per l’esposizione sulla piattaforma degli App Store, ma anche il valore che si deve pagare per tutti gli strumenti software, le librerie e i tool, che l’azienda mette a disposizione per lo sviluppo delle app. La divisione 30-70 poi non è incisa nella roccia, come dimostra il dimezzamento per i piccoli, e come potrebbe dimostrare il mercato se effettivamente ci fosse stata una pressione competitiva da parte di altri store per abbassare i prezzi. Questo non è avvenuto e secondo chi scrive questo lato del discorso può fermarsi qui.

Infatti, la cosa da esplorare è l’idea di walled garden, il giardino recintato, l’analogia “antica” per indicare un ambiente chiuso e protetto. Analogia sbagliata, così come ad esempio è sbagliata quella della “posta” per l’email, perché in realtà ai messaggi elettronici manca l’equivalente di una busta, cioè un contenitore più o meno sicuro che protegge il contenuto dagli sguardi di terzi, rendendo l’email in realtà più simile a una cartolina.

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I walled garden sono un modo per indicare le piattaforme chiuse o gli ecosistemi chiusi, cioè quei sistemi software in cui il fornitore del servizio ha il controllo delle applicazioni, dei contenuti e degli altri media condivisi e limita o impedisce l’accesso paritario a chi vorrebbe portare contenuti (software e altro) non approvati dal “portiere”, il gatekeeper, cioè il proprietario e gestore del walled garden.

Ora, qui c’è un problema di fondo: l’analogia con i giardini recintati con alte mura è fuorviante oppure paradossalmente fa il gioco contrario ai critici di Apple: i giardini vengono recintati non per sicurezza ma per ragioni di coltivazione. Servono a controllare il clima e proteggere le piante dal vento e dalla brina, oltre che dalle intrusioni di animali e persone non autorizzate. Insomma, non sono le prigioni di fanciulle solitarie ma ambienti protetti che dall’esterno altre persone o altre creature hanno interesse a depredare o che si vogliono salvare da un ambiente ostile.

Questa base serve per fare un ragionamento più ampio. L’immagine del “giardino recintato” è connotata negativamente ma si tratta di una analogia come abbiamo visto molto imperfetta: i giardini recintati all’italiana sono tra i più belli al mondo e nessuno si sognerebbe di mettere in discussione che un parco cittadino abbia dei cancelli e degli orari di apertura e chiusura e delle regole (gli spazi per andare con i cani, e cose del genere) che non si debbano rispettare. Ma andiamo oltre questa analogia. Proviamo a immaginarne un’altra.

Apple, tra giardino chiuso e parco a tema

Dividiamo il mondo della tecnologia tra parchi pubblici e parchi a tema. Secondo Apple il fatto che ci siano vincoli e regole all’accesso all’App Store non è un trucco per fregare gli utenti e tenerli prigionieri, ma un insieme di funzionalità che hanno reso efficace e popolare iOS. Questo mi ricorda più un parco a tema, un posto amato da molte persone, dove si possono divertire, essere al sicuro e trovare quel tipo di esperienza che cercano e che viene pubblicizzata. Non a tutti piacciono i parchi tematici, certamente i parchi tematici sono più costosi, e hanno aspetti che non piacciono perché ci sono cose che non si possono fare.

È lo stesso con iOS: tutto quello che si può installare sullo smartphone può essere disistallato altrettanto se non più facilmente, il telefono non va mai in palla, non ci sono “pezzi” di app che funzionano a livello di sistema operativo che restano in circolo, e la sicurezza è garantita dalla sandbox. Il risvolto negativo è che mancano molti software per utenti avanzati che fanno cose particolari che non sono permesse su iPhone. Come nei parchi a tema: è facile e controllato, ma non si può fare tutto.

Invece, i parchi pubblici sono altrettanto belli e divertenti ma in modo profondamente diverso: si possono portare le proprie cose, si possono fare i picnic, si può giocare a pallone, andare in bicicletta o distendersi sull’erba e dormire. Però sono anche ambienti non sorvegliati, mancano le strutture dei servizi, non c’è un percorso o un tipo di intrattenimento preparato, i vicini possono essere molto disturbanti e c’è un problema di privacy importante. Abbiamo bisogno di grandi parchi pubblici, ben fatti e ben mantenuti, ma non solo di quelli. E abbiamo anche bisogno di parchi tematici sicuri, attenti alla privacy e ben fatti, ma non solo di quelli.

Allo stesso modo, abbiamo bisogno di piattaforme come quella di Apple e come quella di Google. L’errore, secondo questo cronista, è pensare che i parchi tematici debbano essere trasformati in parchi pubblici, perché sarebbero un’altra cosa.

La diatriba di Epic Games contro Apple è iniziata con l‘introduzione in Fortnite di un sistema di pagamenti diretto vietato dalle regole di App Store, ma anche dal regolamento di Google Play Store: il gioco è stato espulso da entrambi i negozi digitali. Tutti gli sviluppi della vicenda sono disponibili da questa pagina.

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