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Apple e Sony: Steve Jobs propose OS X in licenza per i Sony Vaio

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Apple e Sony hanno molto in comune racconta il giornalista Nobuyuki Hayashi.  La passione che Steve Jobs aveva per il Giappone è cosa nota: viaggiava spesso nel paese del Sol Levante e Ken Segall racconta, ad esempio, che l’iMac doveva inizialmente chiamarsi “MacMan”, parafrasando “Walkman”, nome che al co-fondatore di Apple piaceva tanto.

Akio Morita, il co-fondatore di Sony, non è stato pubblicamente rappresentato tra i volti mostrati nella campagna Think Different ma per Jobs era un vero mito. Il rispetto era ad ogni modo reciproco e si racconta che erano due gli americani che Morita ammirava di più: Michael Jackson e Steve Jobs, stando almeno a quanto racconta Kunitake Ando, ex presidente di Sony. Morita spesso invitava Jobs in Giappone e pare lo accompagnasse in giro personalmente.

Tra Apple e Sony c’è sempre stato un forte legame, anche nel periodo di assenza di Jobs, e le aziende hanno lavorato congiuntamente a vari progetti: il team di QuickTime ha ad esempio aiutato Sony a sviluppare il formato audio ATRAC e l’ex QuickTime architect di Apple si è occupato di progetti riguardanti le fotocamere Cybershot.

Le relazioni tra le due aziende sono state sempre forti, almeno fino a quando Apple non ha presentato l’iPod. Molti dirigenti di Sony passano le vacanze alle Hawaii giocando a golf e nel 2001 in uno di questi incontri “Steve Jobs e un altro rappresentante di Apple sono stati visti usare un VAIO con Mac OS” ricorda Ando: era probabilmente la versione per Intel di OS X, il “piano B” nascosto per tanto tempo e che sarebbe stato presentato ufficialmente anni dopo (nel 2005) durante la Worldwide Developers Conference, annunciando la migrazione dei computer Macintosh verso l’architettura x86.

Al suo ritorno in Apple nel 1997, una delle prime mosse di Apple fu eliminare il mercato dei cloni: produttori di Mac compatibili (autorizzati nell’era in cui Jobs era stato cacciato da Apple) che stavano riducendo ai minimi termini le quote di mercato della casa di Cupertino. Il CEO di Umax riuscì a ottenere l’esclusiva affinché la sua società diventasse l’unico produttore autorizzato ma Jobs poi cambiò idea e nessuno poté più produrre Mac compatibili.

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Steve Jobs riteneva che la produzione di Mac compatibili avrebbe alla lunga rovinato gli affari di Apple e rovinato la reputazione del brand Mac. Un’eccezione Jobs volle evidentemente farla per Sony e i suoi VAIO, macchine che nella visione del co-fondatore di Apple avevano per molti versi filosofie simili. I tempi purtroppo non erano evidentemente maturi e Sony preferì ottimizzare le macchine per Windows: molti del team VAIO si opposero all’idea, chiedendosi se il rischio valeva la pena.

Jobs visitava spesso Sony quando si trovava a Tokyo. “Mi chiamava all’improvviso chiedendo: posso farvi visita oggi?” ricorda Ando; non appena era negli edifici, libero di muoversi, diceva: “Tutto quello che ho sempre voluto fare, è stato fatto da Sony” continua a raccontare Ando: “Spesso chiedeva gli ultimi prodotti e in molti casi sapeva bene già tutto”. “Aveva un’opinione su ogni prodotto; quando lanciammo la PSP (PlayStation Portable) si lamentò del fatto che usasse ancora il disco, supporto datato a suo modo di vedere”. “Era interessato in particolar modo alle videocamere, forse perché era una categoria di dispositivi che Apple non produceva”. “Una volta prese una delle ultime Cybershot in mano e disse: “Se questa cosa avesse un GPS potrei registrare tutto ciò che accade nella mia vita”. Sony prese sul serio il consiglio e oggi molte dei prodotti Sony integrano un GPS, “Un’idea che ci ha dato Steve Jobs”.

Prodotti a parte, Jobs offriva opinioni ai dirigenti Sony ma a volte chiedeva anche consigli. “Una volta sembrò molto interessato al business dei negozi al dettaglio” racconta ancora Ando, “Chiedendo il perché della loro esistenza e come funzionavano”.  Ando spiegò che “I rivenditori specializzati vendono bene i prodotti ma non spiegano ai clienti cosa è possibile fare con i prodotti ed è questo quello che vogliano nei nostri store”. “È esattamente ciò che abbiamo bisogno” disse Steve Jobs. Ando ritiene che gli store SonyStyle insegnarono molto ad Apple su come organizzare i propri negozi.

Anche dopo la morte di Akio Morita, i buoni rapporti tra Sony e Apple continuarono e Jobs invitava spesso ad alcuni eventi i dirigenti della casa del Sol Levante. Nel 2004 Jobs chiamò al telefono Kunitake Ando chiedendo se avesse voluto condividere con lui il palco del Macworld Expo / Keynote e così avvenne. Apple annunciò il software di video editing Final Cut Express nel corso del Keynote e Ando fu chiamato sul palco a parlare delle ultime videocamere di Sony. “Da allora ci chiamavamo spesso” racconta Ando, “Anche per risolvere semplicemente al al telefono eventuali dispute”.

Ando riusciva a parlare direttamente con i big dei quali aveva bisogno: Bill Gates (Microsoft), Andy Grove (Intel) o nel quarter generale di Apple, l’ex presidente di Sony era di casa. La relazione tra le due aziende è andata scemando con l’arrivo in Sony di Howard Stringer, quest’ultimo meno avvezzo agli ambienti di Tokyo e forse non a conoscenza della forte relazione tra le due aziende.

A proposito di Giappone, nella biografia di Walter Isaacson dedicata al defunto cofondatore di Apple, si racconta che all’inizio degli anni Ottanta, Jobs chiese al presidente di Sony, Akio Morita, perché negli stabilimenti tutti indossassero un’uniforme. “Con un certo imbarazzo”, ricordava Jobs, “mi rispose che dopo la guerra la gente non aveva vestiti e così le aziende come la Sony avevano dovuto fornire ai lavoratori qualcosa da indossare tutti i giorni”. Negli anni e uniformi assunsero tratti molto distintivi, specialmente quella di società come Sony e diventarono un modo per legare i dipendenti all’azienda. “Decisi che quel tipo di legame doveva essere introdotto anche alla Apple” spiegò Jobs. La Sony aveva fatto creare la sua uniforme allo stilista Issey Miyake: era una giacca in nylon antistrappo con manica facilmente rimovibile grazie a una cerniera. “Chiamai Miyake e gli dissi di disegnarmi una casacca per la Apple” raccontava Jobs, “Tornai con alcuni campioni e dissi a tutti che se avessimo indossato quelle casacche sarebbe stato magnifico. Apriti cielo! Mi cacciarono a fischi! L’idea non piacque a nessuno”.

L’operazione permise a Jobs di stringere amicizia con Miyake, che cominciò a visitare regolarmente. Da qui l’idea di procurarsi un uniforme personale, comoda sia per l’uso quotidiano (la razionalità da lui tanto desiderata), sia per la capacità di trasmettere un segno di stile distintivo. “Chiesi a Issey di farmi uno dei suoi dolcevita neri che mi piacevano tanto” raccontava Jobs, “me ne confezionò cento”. Sembra che Jobs li conservasse tutti impilati nell’armadio.

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