L’Europa vuole vederci chiaro sulla nuova organizzazione fiscale di Apple emersa dai Panama Papers. Secondo quanto scoperto dall’inchiesta giornalistica, dopo la stretta dell’UE su Apple in Irlanda e la richiesta di tasse arretrate per 13 miliardi di euro, Cupertino avrebbe trasferito ingenti capitali dall’Irlanda a Jersey, piccola isola del protettorato britannico, un paradiso fiscale nel Canale della Manica tra Inghilterra e Francia.
«Ho chiesto un aggiornamento sull’assetto [fiscale, ndr] di Apple, il modo più recente in cui si sono organizzati, per valutare se sia conforme alle nostre regole europee ma questo rimane da vedere» ha dichiarato Margrethe Vestager, commissario per la concorrenza durante la conferenza internazionale Web Summit a Lisbona, riportata dal Wall Street Journal. La Vestager precisa però che la richiesta di chiarimenti ad Apple risulta precedente alle ultime rivelazioni dei Panama Papers e che è ancora troppo presto per decidere se le nuove informazioni trapelate sugli arrangiamenti fiscali delle società porteranno a nuove indagini.
Nelle scorse ore ha fatto scalpore la scoperta di ingenti trasferimenti di capitali di Apple nell’isola di Jersey, paradiso fiscale in cui l’imposta sui profitti societari è pari a zero. A stretto giro di posta Cupertino ha risposto con un comunicato in cui nega tutte le accuse: la multinazionale dichiara di essere uno dei più grandi contribuenti al mondo e di pagare tutte le tasse ovunque opera secondo le disposizioni vigenti. Lo spostamento di capitali a Jersey è motivato dall’obiettivo di preservare le tasse dovute in USA, nazione in cui viene generato gran parte del valore tramite progettazione, ingegneria, design, ricerca e sviluppo.
Gli esperti fiscali non mancano di notare che le nuove disposizioni di Apple sono avvenute non solo dopo la stretta dell’UE in Irlanda e la richiesta di mega risarcimento per tasse arretrate, considerati dalla Commissione europea come aiuti di stato illegali, ma anche in vista di una riforma fiscale in USA avviata dall’amministrazione Trump e dall’ala repubblicana. Se la proposta sarà trasformata in legge l’imposta sulle società verrebbe ridotta dal 35% al 20%, mentre la tassa sui capitali rimpatriati dall’estero scenderebbe dal 35% al 12%.
Ormai da anni Apple dichiara che gran parte del proprio fatturato è generato all’estero e fuori dagli USA si stima che Apple abbia riserve di liquidità e capitali per un importo di 252 miliardi di dollari. Un tesoro finora tenuto all’estero al riparo della tassa sul rimpatrio USA considerata eccessiva ma che presto potrebbe rientrare in madre patria non appena venissero ammorbidite le disposizioni fiscali in materia. La situazione di Cupertino è condivisa da altri grandi Big della tecnologia tra cui Cisco, Google (Alphabet) e Microsoft.
Nel comunicato diramato ieri Apple invita la comunità internazionale a rivedere le norme fiscali per uniformarle e renderle più semplici «Sosteniamo fortemente gli sforzi della comunità internazionale verso una globale riforma fiscale che porti a un sistema più semplice e continueremo a sostenere riforme specifiche».