Nel silenzioso laboratorio segreto di Cupertino, quello al quale tante volte i video dei keynote fanno riferimento ma che potrebbe essere molto differente nella realtà (però sicuramente c’è) Apple sta apparentemente preparando la sua prossima rivoluzione digitale: un assistente AI con una personalità “umana”. Ma prima di brindare a questo nuovo amico Apple-silicon-based, facciamoci una domanda: abbiamo davvero bisogno di un altro Frankenstein digitale con disturbi di personalità?
I tamagoci del futuro
Mentre un mondo di GenZ impazzisce per il sovraccarico di tecnologia che dà dipendenza e scappa verso il vinile e il telefono “dumb” per cercare di uscire dal loop della tecnologia, il rischio delle AI non è solo quello di essere “addictive”, ma di essere anche devastanti dal punto di vista relazionale.
Immaginate un dispositivo robotico con uno schermo che vi segue come un cucciolo tecnologico affamato di attenzione. Questo potrebbe essere il futuro secondo Apple: un assistente AI generativo più avanzato di Siri, pronto a sostituirla su HomePod, iPhone, iPad e Mac. La promessa? Un’interazione vocale così naturale da farvi dimenticare di star parlando con una macchina. Ma siamo sicuri che sia una buona idea?
I tamagoci del passato
La storia dell’informatica è un cimitero di assistenti virtuali troppo “umani” per il nostro bene. Ricordate Microsoft Bob? Probabilmente no, e c’è un motivo. Era come quel vicino di casa fin troppo amichevole che non capisce quando è il momento di andarsene. Poi è arrivato Clippy, il fermaglio animato di Microsoft, passato da aiutante a meme più velocemente di quanto si possa dire “Vuoi aiuto per scrivere una lettera?”. La lezione? A volte, meno personalità è meglio. E Clippy è la ragione per cui un buon 50% di vecchi utenti Macintosh sono diventati utenti Macintosh in prima battuta.
Ma il vero campione dell’inquietudine digitale è nato in Oriente: è Xiaoice, il chatbot cinese che ha convinto milioni di utenti di essere la loro fidanzata virtuale. Un successo che fa riflettere su quanto siamo disposti a sospendere l’incredulità di fronte a un’intelligenza artificiale loquace. Copiando (è fatto a Shanghai anche se in collaborazione con Microsoft) il lavoro dei cineasti del film “Lei/Her”, che a loro volta hanno copiato di tutto e di più in cento anni di letteratura fantascientifica (partendo da “Metropolis”, solo per restare nel mondo del cinema) hanno azzeccato un problema: antropomorfizziamo la tecnologia anche quando non ci dà una mano. Sembriamo matti ma lo facciamo (con le lavatrici, automobili, biciclette, televisori, qualsiasi cosa). Se poi la tecnologia ci parla, è lecito diventare matti davvero.
E se pensate che questo sia il fondo, aspettate di incontrare Tay, il chatbot di Microsoft che in meno di 24 ore è passato da essere una adolescente carina alla creatura più nazista e misogina vista dalla rete negli ultimi anni, Reddit incluso. Un esempio perfetto di come l’AI possa assorbire il peggio dell’umanità più velocemente di una spugna caduta in una pozza piena d’olio.
Ma la galleria degli orrori delle AI non finisce qui. Abbiamo Replika, che flirta con minori come un predatore digitale, SimSimi, il maestro delle volgarità che farebbe arrossire un marinaio, e Pi, il chiacchierone instancabile che non sa quando è il momento di tacere. È come se il mondo tech stesse cercando di ricreare tutti i peggiori stereotipi umani in forma digitale.
La tentazione di Apple
Ora, Apple vuole entrare in questa arena con un assistente AI dotato di personalità. Ma la domanda è: perché? Siri, con i suoi tentativi di umorismo programmato, già fa storcere il naso e ridere molto i ragazzini in famiglia. Non perché sia divertente, ma perché è disperatamente cringe. Immaginate una versione potenziata che non solo fraintende le vostre richieste, ma lo fa con l’entusiasmo di un venditore porta a porta alle tre del mattino.
La verità è che la conversazione umana naturale è un’arte sottile che l’AI ancora non padroneggia. Anzi, per padroneggiarla manca tutto un mondo di esperienza non mentale (l’addestramento sui testi) ma fisica (avere fame, sete, sonno, paura, gioia, amore eccetera).
Far parlare in modo amichevole o comunque sensato una persona è difficile: le nostre interazioni sono dettate da mille difese e distinguo. Ma farlo fare a una AI è una missione impossibile, oltre la soglia della uncanny valley. È come chiedere a un elefante di ballare il tip tap: impressionante se ci riesce, ma disastroso per le sue conseguenze. L’AI manca ancora di sfumature, compassione, empatia e capacità di cogliere il tono. Scrivere un paper di ricerca per l’AI è molto più facile che chiacchierare casualmente con un amico.
Il sogno proibito
Quello che davvero desideriamo, se parliamo di fantascienza, è un assistente che ci capisca, non che ci faccia sentire in una sitcom mal scritta. Avete presente il computer di Star Trek, quella voce fuori inquadratura che parla in maniera chiara, netta, capendo tutto ma senza mettersi a far perder tempo all’equipaggio?
Il fatto è semplice: vogliamo personalizzazione, non personalità. Un maggiordomo digitale discreto ed efficiente, non un amico immaginario con tendenze psicotiche. La voce umana dovrebbe essere calibrata per essere impercettibile, né troppo “reale” né robotica. Se proprio dobbiamo programmare l’empatia, che sia rivolta alla nostra situazione e ai nostri obiettivi, non alle nostre emozioni.
Una grande opportunità
Apple ha l’opportunità di ridefinire lo standard, creando un’AI che amplifica le nostre capacità senza pretendere di essere nostro cugino di secondo grado di passaggio in città. La sfida è superare i limiti di Siri, bilanciando innovazione e usabilità. Ma c’è anche una questione sociale più ampia da considerare: il rischio di relazioni “false” con l’AI e l’importanza di mantenere una distinzione chiara tra l’intelligenza artificiale e quella umana.
In conclusione, mentre Apple prepara nei laboratori segreti nelle viscere di Cupertino il suo nuovo assistente AI, tutto quel che possiamo fare noi è sperare che abbia imparato dagli errori (clamorosi) dei suoi predecessori. In un mondo dove già lottiamo per distinguere tra notizie vere e fake news, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un altro strato di confusione digitale.
La speranza è che sia un’AI utile, trasparente e, soprattutto, consapevole di essere una macchina. Perché, alla fine, la vera intelligenza sta nel conoscere i propri limiti, che si sia di silicio o di carne e ossa. E forse, solo forse, Apple riuscirà a sorprenderci tutti con un assistente AI che non ci faccia rimpiangere di non aver scelto un pappagallo nevrotico e manipolatore come animale domestico.
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