La rivoluzione informatica come l’avevano vista i mitici eroi della Silicon Valley è stata tante cose: per alcuni (Bill Gates) una corsa all’oro, per altri (Jef Raskin, Bill Atkinson) un prometeico modo per portare alle masse il dono del computer.
Anche Steve Jobs, che non è stato mai un imprenditore illuminato dal desiderio di regalare niente a nessuno, si è a un certo punto profondamente convinto dell’importanza del mercato della ricerca e della scuola, tanto che puntò tutto della sua NeXT su questa idea.
Anni dopo, è la volta di Tim Cook e della sua squadra mantenere la promessa che fin dal primo Apple I di Steve Wozniak è nell’aria: i computer di Apple servono a fare da propulsore alle nuove leve digitali, non solo a vendere il bello e il ben fatto agli utenti tradizionali. Con un Mac e adesso con un iPad è bello imparare. Sono strumenti che si fa fatica a immaginare come avrebbero potuto essere se non avessimo letto i paper di ricerca delle migliori menti della cultura digitale americana, come Alan Kay, premio Turing (il Nobel dell’informatica), creatore di Smalltalk, uomo di punta nel pensiero di Apple (è stato Fellow di Cupertino con Steve Jobs) che già negli anni Settanta con il Dynabook aveva immaginato tutto: il computer da aprire e usare connesso via radio mentre si sta sdraiati sotto una palma in riva al mare, e ci si connette ai più grandi contenitori di conoscenza digitale della storia dell’umanità.
Il sogno dei grandi del’informatica, dal Memex di Vannevar Bush in avanti, non è stato solo di costruire strumenti perfetti per aiutare e potenziare l’intelletto umano, costruendo anche meccanismi di comunicazione mediati dal computer, bensì di abbracciare la didattica per inventarsi un modo nuovo di insegnare il computer oltre a modi nuovi di usare il computer per insegnare le cose tradizionali (didattica della informatica e didattica con l’informatica). Questo sogno martedì potrebbe fare un altro piccolo passettino in avanti.
Apple è azienda di grandi sogni e grandi ambizioni. Quel che racconta non è semplicemente e banalmente una storia di prodotti e di innovazioni destinate a far vendere quei prodotti. Certo, c’è anche quello, perché no. Così come c’è il gusto per lo stile minimalista, per la pulizia e la funzionalità, per un mondo di prodotti pensato per essere usato e per funzionare nella maniera più adatta per ciascuno di noi. Però c’è anche altro, e quindi oltre agli annunci di prodotti ci saranno forse e anche gli annunci di sostanza. Quelle cose che la maggior parte dei giornalisti trova noiosi e che i blog scartano in partenza perché non portano click, non sono l’ennesimo megapixel, l’ennesimo megaherz, l’ennesimo gigabyte lucido e scintillante esposto in primo piano. Eppure, sono queste cose invisibili quelle che di solito passano sotto la soglia, cioè subliminari, per la vecchia e starnazzante stampa tradizionale e il coro della piccionaia del web. E sono queste le cose che tuttavia fanno la differenza.
Cosa ci aspettiamo da Apple martedì. Nuovi iPad low cost, nuovi MacBook low cost, nuovi prodotti low cost, magari anche un telefono low cost (estremamente improbabile), nuove app per la scuola (ma nessuno se le filerà più di tanto), l’arrivo del tanto sospirato AirPower (perché no), una nuova versione degli strumenti per imparare a usare Swift, con tanto di scuole a Chicago che mostrano i progressi fatti. E poi c’è il puzzle del disegno usato per gli inviti, fatto inequivocabilmente con un effetto pennello o stilografica di una tavoletta grafica: una nuova Apple Pencil più economica e ripensata per la scuola? Magari compatibile anche con qualche telefono o con l’iPad economico (si parla di un prezzo attorno ai 259 dollari prima delle tasse).
Il rapporto tra Apple e il mondo della scuola va ben oltre questi annunci però. Apple negli anni ha ricostruito una strategia di penetrazione in un mondo che nel tempo è cambiato: quando le scuole (ricche) di una volta erano di rigore dotate di un Macintosh nelle aulette computer sono state poi soppiantate dalla quasi totalità delle scuole dotate di Windows per poi arrivare alle scuole di oggi che si fanno la guerra scegliendo iPad o ChromeOS. Cosa succederà ora?
Apple ha ottimi esempi, numerosi applicativi (tutta la parte di iBook interativvi e di app didattiche per iPad, ad esempio), sensibilità, volontà e dedizione per far crescere il settore scolastico. Non c’è motivo per cui non sia diventato già da tempo il fratello del settore negozi: entrambi hanno la possibilità di toccare decine e decine di milioni di persone, possono non solo dimostrare la bontà delle tecnologie di Apple ma aiutare concretamente a cambiare il mondo.
C’è anche di più: Apple potrebbe investire molto nel sistema scolastico se non altro americano e preparare qualcosa che in quel paese ancora manca; rivoluzionare il mondo della scuola e della formazione introducendo prodotti e servizi adeguati magari con delle grandi partnership o acquisizioni. Apple è campionessa della integrazione verticale e sa benissimo che è necessario fare molto di più per riuscire a cambiare le carte: la scuola è di fronte a un momento di trasforazione epocale in cui non basta semplicemente fornire il nuovo computer low cost o la nuova lavagna smart di turno. Occorre ripensare tutto e per fare questo serve un catalizzatore che faccia partire la fiammata della rivoluzione didattica, serve un centro di gravità attorno al quale aggregare una nuova forma di cambiamento. Possiamo aspettarci questo dall’evento che si svolgerà martedì a Chicago? Probabilmente no, ma è un peccato perché è in realtà di questo che si parla, questo che è in ballo.