In un tribunale della California è stata depositata una class action che accusa Apple di pubblicità ingannevole, affermando che la multinazionale sfrutta il suo nome parlando di dati iCloud “memorizzati da Apple” mentre, di fatto, questi in alcuni casi vengono conservati su server gestiti da Amazon, Google e Microsoft.
L’azione legale collettiva, depositata presso la Corte per il Distretto settentrionale della California, solleva questioni sulle policy di Apple nella gestione dei dati iCloud e, in particolare, nell’assenza di trasparenza su dove i dati dell’utente vengano effettivamente memorizzati.
Stando a quanto riportato nella class action, Apple avrebbe infranto la fiducia dei clienti e anche quanto riportato in contratti legalmente vincolanti, usando la sua posizione e il suo nome per vendere abbonamenti iCloud a clienti invogliati a credere che i loro dati siano memorizzati in cloud gestiti da Apple e di sua proprietà. Anziché server di sua proprietà, l’azienda si affida in appalto per la larghezza di banda ad Amazon Web Services, Google e alla piattaforma Microsoft Azure.
Secondo i soggetti che hanno avviato l’azione collettiva, segnalata da AppleInsider, Apple “Non ha la necessaria infrastruttura” per gestire iCloud e dunque non può totalmente controllare i dati iCloud nell’arco della durata del contratto. Traviserebbe dunque la natura del servizio offerta agli abbonati esistenti e anche quelli potenziali.
«Presentando se stessa come provider del servizio iCloud (quando, di fatto, Apple non fa altro che semplicemente rivendere lo spazio di storage sul cloud di strutture dedicate al cloud di altre entità) permette ad Apple non solo di ottenere abbonamenti a pagamento di membri di prim’ordine che si abbonano a iCloud pensando che il loro spazio di storage sul cloud sia fornito da Apple, ma permettendo anche ad Apple di chiedere un sovrapprezzo per i servizi iCloud giacché gli abbonati attribuiscono un “valore” nell’avere il brand “Apple” come provider del servizio di storage per i loro dati più sensibili», si legge nella citazione in giudizio.
I querelanti affermano di avere affidato ad Apple informazioni importanti e personali, pagando un sovrapprezzo per mantenere i dati al sicuro. I rappresentanti Andrea M. Williams della Florida e James Stewart di San Francisco (California), affermano di non essere stati informati del fatto che iCloud memorizza dati su server che non sono di proprietà Apple. A loro dire, se avessero saputo prima la strategia di Apple, non si sarebbero abbonati o non avrebbero pagato il “sovrapprezzo Apple” per accedere al servizio. Ad aggravare il problema, la disponibilità di servizi di cloud storgae concorrenti, in alcuni casi meno costosi, quali Amazon Drive, Google Drive e Microsoft OneDrive.
Secondo i querelanti, Apple non menziona server di terze-parti nel materiale di marketing o nei termini e condizioni per l’uso di iCloud. Di fatto, il preambolo nel contratto con il cliente di iCloud lascia intendere che tutti i dati fluiscano direttamente dai dispositivi dell’utente verso Apple.
“Quando iCloud è abilitato i Vostri contenuti saranno automaticamente inviati ad Apple e archiviati dalla stessa, affinché possiate in seguito avere accesso a tali contenuti o possiate inviare i contenuti in modalità wireless ai Vostri altri dispositivi e computer abilitati per iCloud” si legge nel contratto stipulato tra Apple e l’utente per regolare il servizio.
È interessante notare che l’accordo proposto in Cina è più accurato nel descrivere la situazione. In Cina, lo ricordiamo, Apple è obbligata a memorizzare i dati su server locali, gestiti da Guizhou-Cloud Big Data Industry, meglio nota come GCBD. “Abilitando iCloud – si legge nei termini presentati nel Paese del Dragone – i vostri contenuti saranno automaticamente memorizzati e inviati verso GCBD, permettendo in seguito di accedere ai contenuti o disporre dei contenuti in modalità wireless verso altri dispositivi e computer sui quali è abilitato iCloud”.
Osservatori del settore, da tempo hanno fatto notare l’esternalizzazione di Apple per iCloud. Apple sfrutta soluzioni di delocalizzazione sin dal 2011, affidandosi in molti casi ad AWS, Microsoft o entrambi per il cloud-storage. Di recente, Apple ha confermato di fare affidamento a servizi di terze parti come la Google Cloud Platform, infrastruttura di Google altamente scalabile e affidabile che permette agli sviluppatori di costruire, testare e distribuire applicazioni.
Apple dispone di proprie infrastrutture con data center dedicati a iCloud in varie parti del mondo ma evidentemente queste non sono sufficienti e deve per forza affidarsi a piattaforme di terze parti. Oltre a quelli propri sparsi per il mondo, Apple sfrutta data center di terze parti con modalità esclusive che consentono di ridurre il carico di lavoro sul cloud e l’impossibilità di servire tutti i clienti dei servizi cloud con i soli data center dei quali dispone al momento.