Sono stati soldi ben spesi quelli che Tim Cook ha donato alla cerimonia di insediamento di Donald Trump. Un milione di dollari per salvare 40 miliardi di importazioni. È la prima cosa che viene in mente dopo avere appreso che gli iPhone, i Mac, gli iPad e tutti gli accessori Apple non dovranno pagare un dazio del 125% per entrare negli Stati Uniti.
La marcia indietro sulle cosiddette “tariffe reciproche“ ideate da Trump è contenuta in un documento dell’agenzia doganale americana emerso nel corso della giornata di oggi, scelta che non è difficile riferire al movimento lobbistico che i grandi dell’elettronica, Apple inclusa, hanno allestito all’atto dell’elezione del magnate dell’edilizia alla Casa Bianca, e ora messo a frutto nel momento in cui i dazi avrebbero potuto produrre danni immensi alle aziende coinvolte.
In base alle nuove disposizioni cade il mostruoso ricarico applicato su dispositivi come smartphone, TV a schermo piatto, router e tutta una serie di prodotti di elettronica che negli USA non sono prodotti ma arrivano dalla Cina, come chiavette USB, SSD, chip. Nel novero delle esenzioni anche macchine per la produzione di semiconduttori.
L’annuncio rappresenta un sollievo per tante aziende ma soprattutto per Apple, che produce, solo parlando di telefoni, l’80% di iPhone in Cina e totalizza in un anno importazioni, come accennato, per 40 miliardi di dollari. Una tassa del 125% avrebbe portato il costo dei soli telefoni assemblati a quasi 1600$, una cifra impossibile da sostenere e che avrebbe ucciso il mercato americano.
L’idea di Trump e del suo team è quella di spingere Apple e altri grandi protagonisti dell’elettronica come Dell, Microsoft, Nvidia, Samsung, a creare fabbriche negli Stati Uniti (una prospettiva ribadita più volte anche dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt) ma che è semplicemente irrealizzabile per una lunga serie di motivi.
Probabilmente l’amministrazione è stata ricondotta (temporaneamente?) alla ragione da qualche consigliere più addentro alla filiera dell’elettronica rispetto a chi, come il ministro del Commercio Howard Lutnick, ha parlato di “un’armata di milioni di persone pronta ad avvitare piccole viti per assemblare iPhone in America”.
Ovviamente a giocare un ruolo potrebbe essere servizo, come accennato, dare un’occhiata anche al rendiconto delle donazioni di quei dirigenti “amici“. Personaggi che – come nota il senatore democratico Chris Murphy (D., Conn.) – hanno donato e possono donare milioni alle casse di Trump e si trovano oggi in una posizione di vantaggio rispetto a chi, come scrivo il Wall Street Journal in un fondo dal titolo Quando si parla di dazi, è bello essere Tim Cook, ha deciso di fare altrimenti o non ha potuto farlo per dimensione economica e posizione di mercato.
La vicenda però non è ancora conclusa. La pausa dei dazi vale per 90 giorni e non dovrebbe essere applicata al primissimo dazio del 20%, quello che Trump ha imposto per punire la Cina per non avere fermato il commercio del fentanyl.
Non è neppure sicuro che la produzione di iPhone in Cina, ferma a quanto pare dal 9 aprile secondo alcune fonti, sia in grado di continuare normalmente. La Cina infatti non si è ancora pronunciata e potrebbe avere qualcosa da obiettare sulle esportazioni.
Guardando la vicenda, invece, dal punto di vista economico e politico, in molti si chiederanno che senso abbia avuto spaventare i mercati, facendo precipitare in borsa aziende come Apple (-773 miliardi di capitalizzazione), salvo poi decidere che saranno esenti dai dazi il 25% delle importazioni dalla Cina, il 64% di quelle da Taiwan, il 44% dalla Malesia e il 33% dal Vietnam. Ma questa non è la prospettiva da cui dovremmo guardare noi.
Guardandola dal punto di vista del mercato dell’elettronica che più ci interessa vale la pena di sottolineare che importatori e aziende, Apple inclusa, restano comunque oppressi dalla preoccupazione per una strategia che non appare ben chiara, lasciando il sistema sospeso sul futuro del commercio e delle importazioni.
Ad essere soddisfatti saranno invece in primo luogo consumatori, che avranno più tempo per pensare un pochino sugli acquisti, poi anche Apple che guadagna 90 giorni per capire come gestire la situazione.
Ma anche Tim Cook sarà contento: un milione di dollari donato a Trump per la cerimonia di insediamento salva (per ora) 40 miliardi di importazioni.