Il nuovo iPad Pro con tastiera “seria” e trackpad sembra un portatile. L’aggiunta della tavoletta, cioè la trackpad, è stata accolta con notevole ottimismo. Molto più di quello che sarebbe lecito aspettarsi visto che ancora nessuno l’ha vista in funzione e, come si sa, il diavolo in queste cose sta nei dettagli.
Apple ha inoltre promesso che, con il prossimo aggiornamento, sarà possibile collegare anche altre Magic Trackpad via Bluetooth (peccato che quelle di Apple non supportino la possibilità di gestire in memoria il pairing con due o tre device diversi, come le tastiere del resto) e che la stessa tastiera con trackpad del futuro iPad Pro 11 2020 funzionerà anche con il modello di iPad Pro 11 (e rispettivamente anche quella grande con il modello di iPad Pro XL).
Ora, l’arrivo della trackpad può essere una cosa rivoluzionaria oppure no. Craig Federighi nel suo video di presentazione sottolinea quali sono i punto di forza: precisione nella gestione del testo, gestures, flessibilità. È insomma il modo per fare più cose e meglio con l’iPad. Che però non è il Mac e per adesso non funziona proprio come il Mac. Tutti quelli che nel tempo hanno cercato di utilizzare un iPad come sostituto totale del Mac (compreso il vostro cronista) si sono scontrati con delle barriere insormontabili in termini di manipolazione dei file, di lavoro parallelo, di gestione di ambienti in cui si ha a che fare con molte cose differenti.
Apple ha scelto una strada profondamente diversa da quella di Microsoft, che permette di integrare i documenti creati dalle sue applicazioni sul web in locale o in remoto tramite OneDrive o Sharepoint, in maniera tale che sostanzialmente si può fare tutto quel che serve con Office per l’organizzazione, modificare e gestione dei documenti senza mai uscire da Word o da Excel, pur cambiando una mezza dozzina di contesti in realtà. E neppure quella di Google, che con GoogleDrive e le sue app cloud ha sostanzialmente trasportato e trasformato la gestione del flusso di documenti in una serie di cose molto più leggere e apparentemente facili, mettendo dietro però anche dei framework che consentono di programmare o di potenziare notevolmente (seppure in maniera altrettanto schizzoide rispetto a quel che fa anche Microsoft) il lavoro.
Apple, probabilmente per i limiti della sua capacità di creare un ambiente cloud veramente ricco ed efficace (nonostante sia stato proprio Steve Jobs a dire che “il cloud non è semplicemente un hard disk in cielo”, anche se in precedenza aveva detto chiaramente che “il cloud non è altro che il computer di qualcun altro”) è rimasta fedele a una vecchia idea di file system che fa vedere in maniera onesta (più o meno) dove stanno i documenti e i vari file e permette di manipolarli. L’ambiente che ha creato su macOS è sostanzialmente un ambiente “piatto”, mentre quello su iOS e ipadOS è totalmente nascosto, ma “sotto” l’interfaccia (se fosse ammesso andare a guardare) si comporterebbe in realtà in maniera similare perché dopotutto è organizzato come una macchina Unix tanto quanto accade con macOS. Solo che l’interfaccia degli iPhone e degli iPad lo nasconde completamente.
Quello che in verità succede con iPad Pro 2020 e con la tastiera con trackpad è che Apple, con l’emergenza coronavirus che sta cambiando le regole del gioco e le modalità di progettazione, produzione, presentazione e vendita degli apparecchi, sta cominciando a scoprire le carte.
I due temi sul tavolo sono semplici: migrazione dei Mac al processore degli iPhone/iPad Axx abbandonando gli Intel da un lato, e convergenza dei sistemi operativi dall’altro. Per il secondo punto, quello della convergenza, i segnali almeno dal punto di vista applicativo ci sono e sono molto chiari: è possibile sviluppare e rilasciare una app per iPad che funzioni anche su macOS (e viceversa) basta rifornirla del codice “periferico” necessario. Il cuore della app rimane invece lo stesso. La convergenza tra i due sistemi operativi, secondo molti, è data per certa.
Dal punto di vista dei processori, il problema è più complesso. La maturazione degli Axx è notevole e veloce ma non deve trarre in inganno. Intanto per ora sono stati probabilmente più una leva nelle negoziazioni con Intel che non una reale alternativa. Anche perché l’adozione di una nuova architettura di processore richiede la totale riscrittura di tutte le app. Certo, il modo con cui si sviluppa su Xcode facilita, ma ci sono moltissimi snodi e complessità e diversità di cui tenere conto. A cominciare dal mercato Pro di cui proprio Apple ci ha insegnato a tenere traccia, che fa degli strumenti ultracostosi basati su Intel il suo investimento primario. Prendere e cancellare il futuro dello sviluppo software dei MacBook Pro 16 e Mac Pro dopo uno o due anni dal lancio sarebbe una cannonata nei piedi di Apple stessa.
Inoltre, la potenza (già adesso superiore) dei processori Axx e la migliore efficienza energetica sono a scapito delle modalità di funzionamento di una moderna workstation, che fa del multitasking la sua caratteristica principale. E Axx sa fare tutto o quasi, tranne che un buon multitasking.
Ecco dunque che la situazione, già così complessa e poco prevedibile senza sapere cosa stia facendo Apple al suo interno, comincia a diventare meno complicata quando si aprono delle piccole finestre come questo lancio di una tastiera con trackpad integrato. Un lancio che mostra come Apple stia creando un approccio da convergenze parallele.
Se vi ricordate l’antica formula politica che fa parte della storia del Dopoguerra (risale agli anni sessanta) che descriveva un cambiamenti di prospettiva: di fronte all’idea di un Compromesso storico, che avrebbe portato la sinistra al governo assieme al partito di centro, molti protestarono. E allora l’idea divenne quella di rendere meno traumatico e anche più graduale il processo di avvicinamento, parlando di “convergenze parallele”, cioè un ossimoro perché se due rette convergono non sono parallele e viceversa. Tenerle in quella forma voleva dire sostanzialmente accettare l’idea paradossale che ci si avvicinasse ma anche no. Insomma, si facevano tutti contenti e si procedeva (più lentamente) ma come se niente fosse.
A prescindere dal senso storico e politico di quella formula, qui vale l’idea. E l’idea è che la Apple di Tim Cook si stia muovendo seguendo una strategia delle convergenze parallele, avvicinando ma senza disturbare troppo, un pezzettino alla volta. L’iPad rimane sempre e comunque un iPad anche se adesso fa cose che il Mac farebbe altrettanto bene e forse meglio (con buona pace dei poveri Surface di Microsoft). L’evoluzione del sistema operativo iOS e ipadOS tra poche settimane, coronavirus permettendo, ci permetterà di capire in quale direzione ulteriore stiamo andando da quel fronte. Ma aspettiamo anche di vedere quali piccoli cambiamenti accadranno sul fronte del Mac.
Apple ha rinnovato il MacBook Air, rendendolo più simile come prestazioni a un MacBook Pro 13, tanto che adesso siamo sinceramente curiosi se arriverà un MacBook Pro 14 così come è arrivato il MacBook Pro 16 alla fine dell’anno scorso. E, dall’altro lato, ha rimesso in pista una nuova versione del Mac mini che lascia intendere che anche l’altra piattaforma papabile per una trasformazione verso Axx rimane per adesso dov’è. Mancano all’appello i due iMac, quello normale e quello Pro, ma non c’è da dubitare che anche questi si aggiorneranno sempre con Intel e con il coprocessore T2 per la sicurezza e altri compiti di codifica-decodifica dei dati. Quindi, molto paralleli e poco convergenti. Ma chissà.
I segnali forti devono ancora arrivare. Questa prima indicazione della trackpad su iPad è un messaggio potente ma limitato. A giugno ne sapremo molto di più.