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Apple come i serpenti, cambia pelle con i servizi

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Mentre le Borse crollano e risorgono, Google viene colpita dall’antitrust americano (con conseguenze che potrebbero ricadare su Apple) e dall’Europa si levano voci che propongono lo smembramento dei big del tech, c’è un dato sull’ultima trimestrale di Apple che è molto interessante e che vale la pena di rileggere con calma.

Il fatturato di Apple è andato meglio del previsto, anche se gli iPhone calano, e il totale è di 85,5 miliardi di dollari contro gli 81,8 dell’anno scorso: +4,9%. Queste le premesse. Ma un macro-dato, che può sfuggire, è invece importante rilevare.

Apple ha fatto 22 miliardi di dollari di profitti nel trimestre dai suoi prodotti e 18 miliardi dai suoi servizi. Questa è la volta in cui le due linee si sono avvicinate di più. E non è sbagliato immaginare, vista la progressione, che in una trimestrale magari dell’anno prossimo ci sarà una inversione e i servizi diventeranno prevalenti rispetto ai prodotti.

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Il racconto di due aziende

Questo ci spinge a due considerazioni. La prima è antica, risale ad Alan Kay, visionario genio informatico, ha lavorato anche per Apple, è uno dei padri dell’interfaccia grafica, ha vinto un premio Turing. E ha detto la famosa frase citata in più occasioni da Steve Jobs: “Le persone che fanno davvero sul serio con il software dovrebbero creare il proprio hardware”.

Questo vecchio adagio è quello che Steve Jobs ha ripreso per dare un messaggio: Apple è una azienda che fa due cose, hardware e software. E queste due metà della stessa moneta sono quello che ha definito non solo nell’immaginario collettivo ma anche nell’identità interna l’azienda. I migliori hardware, i migliori software.

Ovviamente non è sempre così, ovviamente l’unico software realmente visibile è il sistema operativo, ma sappiamo che l’azienda produce anche software applicativi di altissimo livello e che ci sono tantissime soluzioni create da Apple che bastano e avanzano.

Apple come i serpenti, cambia pelle con i servizi
Alan Kay alla consegna del Premio Turing, foto di Ryan Johnson via Wikimedia Commons

Il mondo del software

È un ecosistema fatto anche ovviamente da software di terze parti ma che è assolutamente autonomo: si potrebbe usare un Mac, un iPhone o un iPad tranquillamente senza uscire dal perimetro delle app made in Cupertino. C’è una ragione storica: Apple è nata come azienda produtttrice di hardware quando il software non era considerato ancora qualcosa di valore, qualcosa di autonomo.

Negli anni settanta Microsoft cominciava a muovere i suoi primi passi e l’idea del software come business autonomo stava appena nascendo. C’erano sì i software di sistema (spettacolari sul primo Macintosh) e quelli di prima parte ancora migliori, a partire da Hypercard, ma la strada era lunga. Però Apple l’ha vista e l’ha percorsa. Proprio con Steve Jobs e durante l’epoca di Mac OS X ha cominciato a ristrutturare le sue suite (iLife e iWork) che facevano da “secondo atto” rispetto ai prodotti di quella che sarebbe diventata Claris Software.

Insomma, una storia complessa per dire che Apple è nata in un modo ma ha visto lentamente il cambiamento e si è adeguata, facendo poi molto, molto bene. L’azienda sa cambiare, quando vuole e quando deve.

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Foto: Hussam Abd – Unsplash

La moneta diventa una sbarra

Veniamo a oggi. Perché la cifra indica chiaramente che Apple è in realtà cambiata ancora. Se software e hardware sono i due lati della medaglia, i servizi cosa sono? Il bordo? Ma quando il bordo cresce tanto, la moneta diventa qualcosa d’altro, un cilindro, un tondino, una sbarra a sezione circolare.

Quel che succede con i software ha due significati. Il primo è che fa parte del pacchetto dell’evoluzione di Apple. Proprio come i negozi, la catena dei retail store. Un modo diverso per andare dal cliente. Dopottutto, anche il software serve per andare dal cliente. Il business è l’hardware, mentre software, negozi e servizi riguardano il modo con il quale andare dal cliente.

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L’altro lato del software

Ma c’è anche un altro significato. I servizi in realtà sono un altro lato del software. Sono un tipo di software in cui quello che succede è che non c’è una app da scaricare e usare in proprio, ma si interagisce con un’altra applicazione. Per dire: iCloud è un insieme di servizi, come è un servizio Apple Tv+, Musica, la posta, lo stesso App Store. Ma in realtà sono dei software che erogano quei servizi dal cloud, anziché essere applicativi da utilizzare direttamente. Da questo punto di vista i servizi di Apple sono un modo di usare il suo software pagando un abbonamento mensile.

Detto in altre parole. I servizi sono software che non viene eseguito sui dispositivi informatici personali che Apple vende ai clienti, ma che viene invece eseguito su server nel cloud. E, cosa importante, viene venduto agli utenti tramite lucrosi abbonamenti ricorrenti.

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L’azienda che cambia pelle

Spesso i contenuti non sono considerati software (come la musica, i film e i programmi televisivi), ma i contenuti dell’App Store lo sono. Ma la cosa fondamentale è che si tratta di contenuti che gli utenti dei dispositivi Apple consumano su tali dispositivi.

Il core business di Apple è la progettazione, l’ingegnerizzazione, la produzione e la vendita di questi dispositivi. I servizi sono solo una parte enorme, e in crescita, di ciò che gli utenti fanno e consumano su quei dispositivi.

Oggi se Alan Kay volesse aggiornare il suo motto probabilmente direbbe qualcosa del tipo: “Le persone che fanno davvero sul serio con le piattaforme fatte dai loro dispositivi dovrebbero creare i propri servizi”. Vista così, la partita dei servizi non è una distrazione o snaturamento del DNA di Apple. Per niente. E in prospettiva potrebbe non esserlo neanche per l’intelligenza artificiale. Anzi, la Apple Intelligence.

La foto di Alan Kay alla consegna del Premio Turing è di Ryan Johnson via Wikimedia Commons. Tutte le notizie Macitynet che parlano di Finanza e Mercato si trovano a partire da questa pagina.

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