Niente di più semplice o di più corretto. Uno spot, anche stuzzicante, che cerca di fare il suo mestiere, cioè vendere il prodotto della società che lo reclamizza. Nella fattispecie, il nuovo tablet basato su Honeycomb, la versione 3 di Android appositamente studiata per le tavolette digitali, realizzato da Motorola. Peccato che qualcosa non torni.
Motorola sceglie una strada che, ammettiamolo, è anche coraggiosa: riprende uno spot “antico”, che ha segnato la storia della televisione, super-citato, e ci ricama sopra. Motorola riprende lo spot di Ridley Scott “1984”, coraggioso per vari versi (se non altro, oltre ad essere stato trasmesso una volta sola proprio durante il SuperBowl, come quello di Motorola, è stato anche girato nel 1984 di George Orwell da cui trae ispirazione) e capace di creare istantaneamente un culto senza limiti.
Gli spot del SuperBowl costano un molto, botto, tantissimo, ma hanno un pregio: vengono visti come se fossero proiettati al Gran Galà della comunicazione. Tutti i giornali ne scrivono, le televisioni li ritrasmettono durante i Tg, e in generale l’effetto finale è che si cerca di realizzare piccoli capolavori, più che semplici spot commerciali. Quello di Apple aveva alcune innovazioni formali notevoli, tra le quali una sopra tutte: non faceva mai vedere il prodotto reclamizzato. E questo, invece, lo spot di Motorola lo fa. Lo fa moltissimo.
Gioca con l’idea di omogenizzazione della massa (anziché utenti-clone Ibm, che poi sarebbero diventati gli utenti-lemming di Microsoft, gli utenti-tutti-in-bianco di Apple) e della distinzione. Prendere il tablet di Motorola equivale a uscire dal soffocante culto della Mela e finalmente ragionare con la propria testa. Android forever. Ecco, peccato che sì, lo spot sia fatto bene, ma non torni la logica con il quale è costruito.
Soprattutto, non torna la provocazione. In un mondo di cloni in bianco, il protagonista straniato ma felice lotta per il suo tablet. I cloni in bianco ovviamente non mostrano tablet, ma solo cuffiette bianche sotto la cappa bianca. Si va a combattere contro l’iPhone e l’iPod? Le cuffiette bianche fanno pensare ad altro e comunque, anche la conversione della ragazza mostra un “pericolo” non così aggressivo, visto che sotto l’influsso della mela si sta comunque caldi e coperti, riparata anche la cervicale dalle fredde correnti digitali della vita, e non si rischia di essere esposti a virus e altre forme di pericoli del bit selvatico.
Quelli di Motorola e della loro agenzia odora di attacco per invidia: dopotutto con Ibm era proprio Motorola a fornire i processori ad Apple (ricordate? G3, G4 e G5) e la stessa si è giocata la carta che poteva proiettare l’azienda in paradiso quando ha perso la competizione per fornire il processore agli iPod e poi a iPhone e quindi iPad (in realtà qui Motorola era già devastata dalla crisi e costretta a vendere il business dei chip di silicio cedendo la divisione con il nome di Freescale). Ma c’è un altro particolare che un po’ disturba.
Possiamo concedere a Motorola che, se 27 anni fa Apple era il piccolo Davide e Ibm il gigante Golia, oggi è Apple ad essere nella posizione del “boss” del mercato. Ma di un’altro mercato, certamente non di quello dei tablet, dominati da Android. Magari frammentati in centinaia di modelli diversi, ma il pensiero unico non ha spazio nell’ecosistema di Steve Jobs.