Apple ha accettato di pagare 30 milioni di dollari per dirimere una causa intentata da dipendenti degli Apple Store secondo i quali l’azienda li avrebbe obbligati a passare controlli di zaini e borse all’uscita dal lavoro, al termine del proprio turno.
Lo riferisce il sito 9to5Mac spiegando che l’accordo arriva dopo un tira e molla che è andato avanti per otto anni, con la prima causa presentata da un dipendente di Apple nel 2013. L’azienda ha abbandonato le policy di controllo delle borse nel 2015.
Si tratta di un annoso caso per Apple, con dipendenti dei negozi al dettaglio che avevano cercato di avviare una class action contro l’azienda nel 2013. All’epoca alcuni dipendenti della Mela avevano citato in giudizio l’azienda per le misure anti-taccheggio che prevedevano, tra le altre, controlli di buste e bagagli all’uscita, verifiche che, a loro dire, li avrebbero costretti a rimanere 10 e anche 15 minuti in più sul posto di lavoro al termine dei turni.
I querelanti della class action hanno sostenuto il diritto a essere pagati per il tempo speso per ottemperare ai protocolli di screening di Apple, pensati per dissuadere furti di beni aziendali.
Stando a quanto riportato negli atti dell’epoca, specifiche regole permettevano ai responsabili di verificare le borse dei dipendenti e dispositivi personali (es. iPhone) timbrando all’uscita, alla fine della giornata lavorativa, e in alcuni casi nelle pause pranzo. Secondo i querelanti, le routine per tali tempi di attesa, non avrebbero permesso loro di ottenere retribuzioni calcolate per un ammontare di 1400$ l’anno.
Il giudice Alsup aveva respinto il caso nel 2014 ma aveva permesso di predisporre una class action secondo la legge della California. La causa in questione era stata ancora una volta respinta nel 2015 con il giudice che aveva fatto notare che i dipendenti potevano bypassare i controlli di Apple evitando di portare borse al lavoro. La decisione del giudice era stata annullata dopo che la disputa era arrivata alla Corte Suprema della California. Qui è stato stabilito che legislazioni statali prevedono che le aziende retribuiscano i dipendenti per il tempo dedicato alle verifiche anti-taccheggio. Una successiva decisione della Corte di Appello per il Nono Circuito ha infine reso di nuovo possibile l’azione collettiva.Alcuni dipendenti che erano stati sottoposti a controlli avevano inviato una mail a Tim Cook, spiegando che dipendenti di valore erano trattati alla stregua di criminali e che i controlli erano spesso eseguiti di fronte a clienti che osservavano la scena. Apple ha sostenuto che al caso non avrebbe dovuto applicarsi lo status di class action, giacché non tutti i manager dei negozi avevano condotto i controlli nel modo descritto e che la ricerca all’interno delle borse richiedeva talmente poco tempo da non rendere necessaria alcuna compensazione.