Avere manipolato la classifica di App Store in forza della sua larghissima base di installato, vendendo scalate alla graduatoria. Questa sarebbe la reale ragione per cui Apple ha eliminato App Gratis da App Store, almeno secondo quanto si legge su Business Insider. Il sito americano ipotizza in un circostanziato articolo che sia stata proprio la necessità di preservare la meritocrazia delle idee contro la “plutocrazia” di chi ha i soldi necessari per comprarsi un posto in vetrina di un’applicazione che ha milioni di utenti, ad avere attivato il “ban” all’app francese.
A sostegno dell’ipotesi, Business Insider presenta una tabella ottenuta da uno sviluppatore dalla quale si apprende il numero stimato di download necessari per arrivare ai primi posti in classifica e il costo, almeno apparentemente, da pagare ad App Gratis per tentare la scalata sfruttando proprio i suoi servizi di visibilità. Dando per buona la tabella si apprende che ad un ipotetico cliente USA sarebbe servito investire 3 dollari per download per un minimo di circa 100mila dollari per arrivare tra le prime cinque. In Italia questa cifra era di 1,5 dollari per download per un’app iPhone e di 3 dollari per un’app iPad per un minimo di 20 o 10mila dollari
Il meccanismo sarebbe stato presentato nel suo funzionamento anche a sviluppatori individuati come, ad esempio, hot.co.uk che gestisce un sito di sconti su alberghi e che ha un’app per i suoi servizi. Al CEO Conor O’Connor, dice TechCrunch, sarebbe stato Simon Dawlat in persona, amministratore delegato di AppGratis a riferire che la cifra per arrivare al primo posto in Spagna era di 2 euro per download per un minimo di 45mila euro.
La ragione per cui uno sviluppatore può essere interessato ad investire così tanti soldi per arrivare tra le prime cinque posizioni è abbastanza semplice. Una volta entrati nella top cinque anche terminata la promozione, si ottengono download organici che sostengono le transazioni per giorni e giorni. In pratica si paga per avere visibilità e la visibilità porta successivamente altri download.
Dwalat, non ha negato che la tabella mostrata da Business Insider sia uscita dai suoi venditori, ma sottolinea che si tratta di un commercio legittimo «del tutto simile alla pubblicità venduta da iAD, Facebook o altri annunci pubblicitari sul mobile». In precedenza a TechCrunch lo stesso Dawlat aveva precisato che il suo team svolge un compito primario, quello di cercare «vere gemme», ottime ma poco conosciute app da proporre agli utenti, senza richiedere nulla in cambio e un compito secondario, quello di contrattare sconti con altri sviluppatori che hanno intenzione di promuovere le loro app, ma anche qui non ci sarebbe nulla da dare in cambio se non la partnership. Infine c’è una parte pubblicitaria con applicazioni che sono sostenute da pagamenti; anche se in questo caso c’è un ovvio “do ut des”, non esisterebbe un meccanismo di installazione incentivata, con pagamenti a fronte di download.
In realtà anche a voler dare per buona la spiegazione di Dawlat, come notano diverse fonti, non vengono spazzate via le preoccupazioni di Apple sul fatto che usando un sistema come quello descritto, e il peso di 12 milioni di utenti, AppGratis finisce per prendere il controllo delle classifica di App Store e decidere chi deve salire e chi scendere. Questo accade sia nell’ipotesi onesta, quando i suoi recensori decidono che un’app è «una vera gemma» e la mettono senza nessun secondo fine in primo piano, sia nell’ipotesi meno trasparente, quando questa app di prezioso ha solo il bonifico bancario usato per acquistare uno spazio su AppGratis sulla base dei download, una pratica assolutamente proibita da Apple.
Il fatto poi che i venditori di AppGratis abbiano usato come strumento di promozione della loro attività, la classifica di App Store “vendendo” stime di prezzo da pagare, sulla base dei download promettendo più o meno indirettamente una posizione in classifica sulla base della disponibilità finanziaria, ha contribuito sicuramente a far impugnare ad Apple il maglio.