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Le suonerie dei telefonini non sono morte, fanno solo meno rumore

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Se pensavate che le suonerie dei telefonini fossero morte sappiate che vi sbagliate di grosso. Il mercato vale ancora decine di milioni di dollari e le app per scaricare suonerie vengono installate più di quelle di Tidal o SiriusXM. Solo l’app Ringtones for Android ha superato i 50 milioni di download dal 2013, mentre Garage Ringtones è passata da centomila a 12 milioni di download in due anni.

Non male per qualcosa che doveva essere morto e sepolto assieme ai Nokia del secolo scorso. I numeri invece sono chiari: da un lato c’è un mercato maturo come quello americano dove le suonerie generano ricavi per 10,5 milioni di dollari (contro il miliardo e mezzo di dollari del 2007). Dall’altro ci sono i mercati emergenti come India, Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh, da dove arriva il 93% delle ricerche per “ringtone download”.

Il fenomeno è generazionale. Gli utenti delle app hanno tra i 31 e i 37 anni, cioè sono quelli che nel 2007 avevano tra i 14 e i 20 anni. La prima generazione che ha avuto il telefonino da ragazzini e ne ha fatto uno strumento di identità sociale, a partire proprio dalla suoneria personalizzata.

Certo, non è un mercato enorme, certo non è neanche paragonabile al ritorno del vinile che da alcuni anni sta definendo un lato più hipster della pratica del consumo musicale, ma non è neanche uno scherzo. Le suonerie ci sono e lottano assieme a noi. Almeno, nel loro piccolo.

Suoneria iPhone X

L’età dell’oro della personalizzazione

Ma dove è cominciato tutto questo? C’era una volta Nokia con il suo Gran Vals. La suoneria di fabbrica dei telefonini finlandesi era ovunque: nel 2009 veniva riprodotta 1,8 miliardi di volte al giorno, ovvero ventimila volte al secondo. Era così pervasiva che persino gli uccelli avevano imparato a riprodurla, cosa che ha fatto impazzire più di un ornitologo.

Non era solo questione di volume. Le suonerie erano un business enorme per l’industria discografica, che aveva trovato il modo di far pagare profumatamente anche solo trenta secondi di canzone. I musicisti stappavano champagne: nel 2007 le suonerie generavano più ricavi sia degli album digitali che dei singoli scaricati.

Jessica Simpson arrivò a creare cinquecento versioni della stessa canzone, “A Public Affair”, sostituendo la parola “baby” del secondo verso con cinquecento nomi diversi. Una mossa di marketing che oggi fa sorridere ma che all’epoca fece impazzire i fan: ognuno poteva avere la “sua” versione personalizzata della canzone preferita. E lei è stata sepolta di soldi molto “facili”.

Suoneria iPhone X

Dalla crisi alla rinascita silenziosa

Poi è arrivato lo streaming e il modello è andato in crisi. Anche perché le persone hanno iniziato a silenziare i telefoni, travolte dalle notifiche. Le suonerie sembravano destinate a diventare un ricordo del passato, come i walkman o le videocassette.

Ma qualcosa è cambiato. Le app di suonerie sono diventate un’opportunità per musicisti indipendenti e compositori freelance. Su Fiverr, la piattaforma che mette in contatto professionisti e clienti, c’è un fiorente mercato di micro-commesse per creare versioni strumentali di canzoni famose da 35-45 secondi. E poi ci sono film e serie tv dove la suoneria fa capolino e diventa dinuovo “hip”, come nel protagonista della serie tv Carl Hiaasen’s Bad Monkey su Apple Tv+, cioè un fantastico Vince Vaughn che ciclicamente riceve telefonate con l’attacco di La Grange degli ZZ Top.

Intanto, il modello di business si è frammentato. Da un lato ci sono le app come Zedge, quotata in Borsa, che paga regolarmente le royalties e ha accordi con le major. Dall’altro una galassia di piccole app sviluppate da startup asiatiche o dell’Est Europa, che operano in una zona grigia dei diritti d’autore e semplicemente prendono e mettono a disposizione degli utenti un sacco di suonerie per due o tre euro (e probabilmente il diritto d’autore lo considerano una parola intraducibile).

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Il futuro è più silenzioso

La verità è che la società è cambiata. Le suonerie non sono più uno status symbol come negli anni ’90, quando il Nokia con la cover personalizzata era l’equivalente dell’iPhone di oggi. Ora sono uno strumento funzionale, spesso silenziato, che emerge solo quando necessario. Il paradosso però è che proprio mentre il volume si abbassa, il mercato si espande. Nei paesi emergenti, dove la diffusione degli smartphone sta vivendo il suo boom, le suonerie personalizzate sono ancora un modo per esprimere la propria identità digitale.

Le strade del futuro sono due. Da una parte c’è chi, come Apple, cerca di trasformare le suonerie in un’esperienza più sofisticata, con melodie che cambiano in base al contesto. Dall’altra c’è chi punta sull’intelligenza artificiale (ovviamente) per creare suonerie uniche e personalizzate. In mezzo ci sono i millennials nostalgici che scaricano il Gran Vals di Nokia, forse per ricordare un’epoca in cui i telefoni servivano ancora principalmente per chiamare.

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