Era il 28 luglio del 2008. Un primo manipolo di 500 app. La promessa di Steve Jobs, che ci sarebbe stato software per l’iPhone (il telefono di Apple era stato lanciato l’anno prima solo con app internet e la possibilità di salvare icone con l’indirizzo di webapp html5, ancora mancavano due anni all’arrivo dell’iPad) era stata mantenuta. Apple aveva reinventato lo store per il software, chiamato nel gergo di Cupertino “app”.
Dieci anni fa
In dieci anni, è successo tutto. Attorno all’App Store è nata una economia, infatti. C’è chi ha scoperto le opportunità sulla bsase del contratto dai termini chiari proposto da Apple: cioè hosting e download centralizzato, app gratuite senza costi per gli sviluppatori, “costo” pari al 30% del prezzo dell’app scelto liberamente dallo sviluppatore, senza altri costi nascosti, processo centralizzato di approvazione.
Il deposito e sistema di distribuzione centralizzato, con il portale dell’App Store come unico punto di ritrovo, ha permesso di livellare la competizione tra gli esordienti e startup da un lato contro i big del software dall’altro. Ma non solo questo. Anche di garantire gli aggiornamenti del software a tutti, e questo, assieme agli aggiornamenti del software di sistema degli iPhone e poi degli iPad, è un po’ la formula segreta del successo di iPhone: funziona meglio anche perché il software è verificato a monte (niente virus), meritocratico (vanno avanti le app che meritano, non per la notorietà o i soldi dello sviluppatore), e sempre aggiornato e pulito.
Il momento giusto
L’App Store è arrivato, assieme all’iPhone, nel momento giusto, cioè quello del “mobile first”. La rivoluzione dei dispositivi post-PC è quella che ha da un lato permesso ad Apple di avere un grande successo trasformandosi in un colosso economico con un fatturato grosso come il PIL di un Paese di media grandezza, ma dall’altro è stato un abilitatore di economie, ha permesso di creare nuove professionalità, di lavorare in modo diverso, di creare e di produrre di più. Certo, non c’è solo Apple e gli altri (Google in testa, Microsoft a rimorchio, più Amazon e poi Facebook) hanno fatto molto. Sia per il mondo del lavoro che per quello dell’intrattenimento. Ma è indubitabile che Apple abbia marcato il gold standard e che questo livello sia stato impersonato fondamentalmente dall’App Store.
Ma non c’è stato solo questo. L’App Store è stata anche una rivoluzione per il mondo del gaming. Gli apparecchi da tasca con l’iPhone hanno fatto un salto in avanti notevole soprattutto grazie alla disponibilità di creativi e intriganti giochi per il casual gaming. La struttura tutta touch dell’iPhone ha favorito i giochi per chi non è un hard core player, ma è stato l’App Store a fare da volano lasciando spazio a un’offerta enorme, guidata da innovatori anziché dai soliti vecchi maestri del settore. Un nome per tutti: Angry Bird.
E il tema del gaming, più ancora che quello delle app professionali, apre la porta al discorso dell’acquisto in app. La possibilità cioè di pagare poco o niente l’app di per sé e poi fare uno o più acquisti sicuri all’interno della stessa, ma in realtà sempre passando dalle forche caudine dell’App Store, e decidere se avere più funzioni o no. È stata una rivoluzione importante e potente, accolta bene dagli sviluppatori e dagli utenti, che nel tempo però si è lorogata. Di polemiche da parte degli sviluppatori sui limiti dell’App Store ce ne sono state tante (una, quella del beta testing delle app, per esempio, è stata superata con l’acquisto della piccola TestFlight, oggi app di sistema di iOS). Ma, a parte chi vuole che la quota di guadagni di Apple cali, in realtà le cose si sono orientate verso un’altra direzione: gli abbonamenti, cioè i pagamenti rinnovati a base settimanale, mensile, annuale.
Ci sono anche tante altre cose che sono successe a causa dell’App Store o che da questo sono state molto ben facilitate. Ad esempio: sui dispositivi mobili è partito lo streaming, e Apple nell’App Store ha una abbondanza di possibili app che vengono anche giocate in parallelo sul nuovo, e più limitato, store della Apple TV. Due esempi? In Italia le app di Netflix e Amazon Prime Video, ma anche quelle della Rai, sia radio che televisione, oppure le altre che cercano di trasformare i canali televisivi in app. Negli Usa ci sono anche i canali sportivi e altri canali “generalisti”: HBO NOW, Hulu e Sling TV.
Creatività al primo posto
Poi, la creatività: grazie all’App Store e allo schermo capacitivo, a cui si è aggiunta più di recente anche la Apple Pencil per gli iPad Pro e l’iPad 2018, i dispositivi di Apple si sono trasformati in macchine per la creatività a tutto tondo. Non solo consumo di contenuti ma anche la loro creazione. E questo porta anche al mondo della scuola, dove soprattutto gli iPad sono diventati strumenti fenomenali per l’apprendimento e l’App Store è il contenitore delle nuove metodiche e pratiche didattiche.
Con Tim Cook soprattutto il ruolo di Apple nel mondo della salute e del fitness è ulteriormente cresciuto. E questo ha avuto evidentemente effetti non solo grazie ai device (uno per tutti: la missione dell’Apple Watch è la salute) ma anche grazie alla potenza di fuoco dell’App Store. Il settore è praticamente infinito e il volano è quello offerto dall’enorme ecosistema di sviluppatori.
Accessibilità e democratizzazione
Non ci fermiamo qui. Perché la storia dei dieci anni dell’App Store è anche la storia dei dieci anni di Apple, vista la centralità dello store per le app in tutti i processi e nelle maggiori innovazioni dell’azienda. Altri due esempi? Cominciamo dall’accessibilità. L’App Store è il punto di entrata per le comunità di persone che soffrono di disabilità e, con l’iPhone e l’iPad in misura minore, hanno la possibilità di accedere a decine di migliaia di software disegnati appositamente per rendere più accogliente e funzionale il mondo attorno a loro e per liberare le energie che solo l’assistenza del computer permette di cogliere e amplificare.
Continuiamo con la rivoluzione dell’App Store, cioè della democratizzazione delle app, è anche quella che ha permesso la rivoluzione dal basso del coder: perché si scrive tantissimo codice per iPhone e iPad. Codice che poi si trasformerà in app e produrrà risultati, aprirà nuove possibilità anche a chi si ingegna e cerca di farte, armato delle sue capacità tecniche e creative, senzaa bisogno di pagare pegno a datori di lavoro strutturati e a grandi multinazionali che trattano le persone come oggetti e non come soggetti dell’innovazione e della creatività. Questo è stato un cambiamento di prospettiva enorme ed è passato da Xcode (disponibile paradossalmente solo per macOS) e l’App Store. È una porta sul futuro di nuove generazioni di programmatori.
L’App Store non è rimasto costante nel tempo. Anzi, da un anno a questa parte è cambiato prima negli Usa e poi nel resto del mondo. È diventato un portale con contenuti editoriali creati da ex giornalisti, ed è uno strumento che permette di fare “discovery” più facilmente. Apple ha una precisa strategia, anche relativa ad Apple News, di utilizzare redazioni “umane” che lavorano per creare contenuti di qualità o selezionarli in modo manuale anziché automatico con feed annesso. Una rivoluzione che, se arriva anche la qualità, promette di essere un grande fattore di differenziazione rispetto alle Facebook che invece basano tutto sull’automatizzazione.
In una sua pagina Apple celebra l’anniversario ma il futuro?
È la sfida di domani dell’App Store, che aspetta a gloria realtà aumentata e virtuale per trasformarsi in un contenitore di cose che oggi possiamo solo immaginare. Ci sono i primi prototipi, le prime beta, i primi tentativi di trovare una strada. Ma Tim Cook garantisce e scommette pesantemente su AR/VR come innovazione dek futuro e chi siamo noi per dire che ha torto? Aspettiamo, è proprio il caso di dirlo, di vedere cosa succederà.
Intanto, buon compleanno App Store! E cento di questi giorni.