Se tutto va bene, cominceremo a monitorare la diffusione del virus Sars-CoV-2 a partire dalla fine del mese di maggio. L’applicazione che ci aiuterà nel perseguimento di questo obiettivo è Immuni, scelta tra 770 candidate perché offre maggiori garanzie in termini di interoperabilità e anonimizzazione dei dati, oltre ad essere tra tutte quella allo stadio più avanzato (l’altra papabile candidata era Covidapp, realizzata dall’ingegnere Luca Mastrostefano, ndr).
Se tutto va bene, dicevamo, perché ci sarà prima una fase sperimentale che vedrà molto probabilmente protagoniste Milano e Molise – si legge sull’edizione del Corriere in edicola oggi – perché per questa prova si è deciso di inserire in contrapposizione ad una delle città più grandi d’Italia, un’area a bassa densità di popolazione. Questo test salvo ritardi di Apple e Google partirà il 15 maggio, data di probabile rilascio dell’applicazione sui rispettivi store digitali. L’accesso completo a tutti gli italiani dovrebbe invece essere consentito a partire dalla fine del mese.
I tempi di attesa sono condizionati anche dal fatto che secondo una recente ricerca il 70-80% della popolazione deve ancora aggiornare i propri dispositivi all’ultima versione del sistema operativo, una delle condizioni necessarie per far sì che l’app funzioni correttamente. Ma non solo. Nei documenti della task force che sta lavorando su Immuni figura infatti la richiesta di chiarimenti sulla sicurezza dell’app, in particolare quella del server. Dubbi che a detta di Paolo De Rosa, uno dei tre coordinatori della task force in questione, sarebbero stati invece sciolti perché «L’infrastruttura è residente in Italia ed è stata affidata a un gestore pubblico, Sogei, garante dell’affidabilità e della sicurezza del backend e del trattamento dei dati».
Per quanto riguarda infatti il funzionamento dell’app, sui server andranno solo i codici identificativi dei soggetti infetti e i dati quantitativi sui contagiati, mentre il resto rimane sui dispositivi. Si sta anche valutando l’idea di chiedere agli utenti l’inserimento delle prime due cifre del CAP per poter calcolare il livello di rischio su base regionale, in modo da avere un’analisi specifica delle singole aree ed eventualmente procedere con tempistiche differenti per le prossime fasi di allentamento di limiti e divieti.
L’app Immuni, lo ricordiamo, attraverso il Bluetooth sarà in grado di avvertire chi è stato vicino ad una persona risultata positiva. Al momento non è stato ancora definito cosa sarà scritto nella notifica di avviso e in futuro dovrebbe integrarsi con il sistema sanitario: inizialmente però sarà utilizzata solo per il tracciamento dei contatti. E’ chiaro che l’app sarà uno strumento necessario per evitare una seconda ondata e tornare alle restrizioni precedenti al 4 maggio, e sarà efficace soltanto se ci sarà una buona adesione da parte dei cittadini: inizialmente si puntava ad un’adozione da parte del 60% della popolazione ma più realisticamente si è compreso che sarà sufficiente anche un 25-30%. Numeri che, stando a recenti studi, dovremmo riuscire a raggiungere senza troppe difficoltà: gli italiani sono tra quelli che più hanno compreso problemi e rischi e pur di uscirne il più in fretta possibile e nel migliore dei modi sarebbero disposti a compromettere anche la propria privacy.