Continuano le tensioni tra Apple e il supervisore antitrust nominato dal tribunale per il caso iBooks. Michael Bromwich accusa la multinazionale di Cupertino di avere limitato la sua cooperazione nelle operazioni per la valutazione della società. Bronwich ha il compito di controllare le attività di Apple a seguito di una causa antitrust intentata dal governo USA. Sin dall’inizio vi sono stati disaccordi tra Apple e l’auditor, e la relazione negli ultimi mesi è peggiorata, come ha spiegato lo stesso Bromwich in una lettera al giudice Denis Cote, missiva della quale parla Reuters.
Bromwich ha spiegato al giudice che Apple ha assunto un “tono contraddittorio” nelle recenti discussioni, aggiungendo che nessuna intervista è stata condotta da gennaio giacché Apple avrebbe respinto le richieste. Apple ritiene che il punto al quale sono arrivate le indagini di Bromwich abbia già raggiunto e anche oltrepassato l’intento originario della corte. Vari osservatori all’infuori della società la pensano come Apple, incluso un giudice circoscrizionale e il comitato editoriale del Wall Street Journal.
A febbraio di quest’anno il quotidiano aveva pesantemente attaccato il revisore accusandolo di condurre “un’indagine itinerante che interferisce con le operazioni commerciali di Apple, rischiando di rendere pubbliche informazioni privilegiate e confidenziali, imponendo sostanziali e crescenti costi che non potranno più essere recuperati”. All’epoca era stato calcolato che ad Apple le “fatiche” di Bromwich erano costate fino allora 2,65 milioni di dollari, oneri richiesti per il monitoraggio della società. Il quotidiano aveva esaminato le fatture evidenziando operazioni che poco o nulla avrebbero a che fare con il procedimento antitrust che riguardava il caso iBooks.
Bromwich avrebbe dovuto occuparsi di verificare la conformità dell’operato e suggerire eventuali azioni formative in materia antirust, ma secondo il WSJ si è trasformato in una sorta d’inquisitore che ha voluto indagare a tutto campo sugli affari di Apple, inclusi settori quali Siri, Mappe, i gruppi che si occupano di progettazione hardware: elementi estranei al caso e-books.
Tutta la vicenda, lo ricordiamo, nasce dopo che Apple era stata giudicata colpevole di avere tramato per alzare il prezzo dei libri elettronici, operando per colpire la rivale Amazon. La multinazionale della Mela afferma di non aver cospirato per imporre il prezzo degli e-book, contestando le disposizioni emesse dal giudice distrettuale Denise Cote. Apple nega le accuse di aver incoraggiato le case editrici a stabilire un prezzo-base collettivo per gli ebook. All’epoca i publisher erano per lo più legati ad Amazon, che ha spesso venduto libri in perdita al fine di sostenere il business Kindle. Apple ha sempre insistito che le accuse del Dipartimento di Giustizia statunitense erano false, continuando a mantenere questa posizione anche quando suoi partner editoriali avevano preferito stabilire accordi extra-giudiziari con il governo.