Freedom House – organizzazione non governativa internazionale che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani – ha pubblicato i risultati di recenti indagini dalle quali ancora una volta emerge un calo nella libertà di Internet nel mondo per l’undicesimo anno consecutivo.
Il report del think tank in questione evidenzia che nell’ultimo anno in 48 su 70 nazioni analizzate – corrispondenti all’88% degli utilizzatori globali – sono state predisposte nuove disposizioni per le aziende del mondo IT in materia di contenuti, dati e concorrenza.
“Benché alcune mosse rispecchino il legittimo tentativo di mitigare i pericoli online con freni nell’uso improprio dei dati o la fine di manipolatorie pratiche di mercato, molte nuove leggi impongono una censura eccessivamente ampia e prevedono obblighi in materia di raccolta dei dati al settore privato”, si legge nel report (PDF).
Nello specifico, stando a quanto riferisce Freedom House, almeno in 24 nazioni sono state approvate o annunciate nuove leggi o norme che disciplinano le modalità con le quali le piattaforme devono trattare i contenuti, fonti di preoccupazione con un paventato aumento della censura del dissenso politico, pericoli per il giornalismo investigativo e libertà di espressione per questioni etniche, religiose, sessuali, identità di genere.
Freedom House misura la libertà su internet valutando 21 diversi indicatori, con parametri quali ostacoli all’accesso alla rete, limiti nei contenuti che è possibile pubblicare, violazione di diritti degli utenti, ecc. Nazioni quali Cina e Iran vengono citate come luoghi dove c’è minore libertà. L’Italia è nel complesso indicata come libera ma si segnalano nuove leggi o direttive che potrebbero portare ad un aumento della censura e ridurre l’anonimato online.
La Cina è la nazione indicata come “la più aggressiva” dal punto di vista della censura. Altre statistiche rivelano che nell’80% delle nazioni analizzate sono state arrestate persone per i loro discorsi online; nel 64% di queste, le autorità hanno dislocato commentatori pro-governativi al fine di manipolare le discussioni online; nel 41% delle nazioni si è arrivato a interrompere internet o le reti mobili per ragioni politiche; il 46% delle nazioni ha bloccato o ristretto l’accesso alle piattaforme social, scelta avvenuta principalmente in concomitanza di proteste o elezioni.
Sul versante sorveglianza, le autorità di almeno 45 su 70 nazioni sono sospettate di sfruttare ricercati spyware o tecnologie per l’estrapolazione dei dati fornite da aziende specializzate quali NSO Group, Cellebrite, Circles e FinFisher.
Al chi si occupa di legislazione, Freedom House suggerisce la necessità di prevedere meccanismi che impediscano l’accentramento del potere nelle mani di pochi operatori dominanti, sia nel settore pubblico che in quello privato.