Con l’apertura dell’App Store a luglio del 2008, fu resa nota l’implementazione nell’iPhone di un sistema denominato Switch Killer che consente ad Apple, in casi estremi (esempio, applicazioni che dovessero in modo fraudolento accedere al telefono o a dati riservati) di disattivare a distanza eventuali applicazioni. Fino ad oggi questo meccanismo non è stato mai utilizzato e Steve Jobs, il CEO di Apple, in un’intervista di alcuni anni addietro dichiarò al Wall Street Journal di “sperare di non doverlo mai utilizzare” e anche che sarebbe stato da irresponsabili non premunirsi di un simile sistema di sicurezza. All’epoca seguirono un mare di polemiche, con titoloni anche sulla stampa italiana non specializzata, sul presunto controllo stile grande fratello da parte di Apple, confondendo il meccanismo di sicurezza, con (assolutamente falsi) meccanismi da incubo per l’accesso ai dati dell’utente. Tali polemiche non si sono però ripetute quando si è scoperto che anche Google ha implementato negli smartphone con Android a un meccanismo simile e non si sono ripetute neanche in questi giorni quando si è scoperto che – ma guarda un po’ – anche Microsoft ha adottato un “kill switch” per annullare a distanza eventuali applicazioni pericolose. Non se n’è parlato neanche quando se ne sarebbe dovuto parlare: pare che in due casi, infatti, Google abbia dovuto ricorrere al killing a distanza rimuovendo le applicazioni dai dispositivi degli utenti.
Aziende di grandi dimensioni come Apple, Google e Microsoft devono come sempre trovare il giusto equilibrio tra libertà per gli utenti e privacy. Impossibile non concordare con coloro che sottolineano la necessità della massima libertà per gli utenti di installare quello che vogliono, ma impossibile dissentire anche con chi sottolinea come la compromissione dei dati senza possibilità di intervento, potrebbe far diventare corresponsabili i produttori dei sistemi operativi.
[A cura di Mauro Notarianni]