Anche Bernie Sanders, il candidato liberal che negli USA sta dando filo da torcere a Hillary Clinton nelle elezioni primarie del Partito Democratico, vuole prodotti Apple fatti negli Stati Uniti.
Sanders, noto per avere posizioni più di sinistra (per quel che questo significa nel contesto della politica americana) della moglie dell’ex presidente americano e ancora oggi favorita nella corsa al posto che spetta al partito dell’asinello per la corsa alla presidenza, parla della questione nel corso di un’intervista con il Daily News dove s fa cenno alla spinosa vicenda dell’elusione fiscale.
All’inizio del mese il candidato per la nomination del Partito Democratico ha più volte classificato i trattati di libero scambio come strumenti desiderati dalle aziende che danneggiano i lavoratori americani causando perdite di posti di lavoro. Secondo Sanders i trattati internazionali facilitano il commercio delle multinazionali ma spesso conducono alla chiusura di fabbriche negli USA e all’apertura in Paesi dove il costo della manodopera è molto più basso.
Alla richiesta se Apple è una delle corporazioni americane che “sta distruggendo le fabbriche della nostra nazione”, Sanders dice di non ritenere che la Mela sia una delle aziende colpevole di non prendere in considerazione gli effetti delle loro scelte sulla vita dei lavoratori americani puntando invece il dito su grandi banche quali PMorgan Chase e corporation quali General Electric, ma conferma che gradirebbe lo spostamento della manifattura di alcuni dispositivi Apple negli USA” e che questa pagasse “qui una congrua parte delle tasse che cerca di eludere”.
Sanders non è il primo candidato alla presidenza ad aver commentato le policy concernenti la produzione di Apple. A gennaio di quest’anno Donald Trump, con toni molto più accesi, aveva attaccato la Casa di Cupertino e le politiche che hanno condotto l’azienda a portare all’estero le sue linee di assemblaggio; “è necessario riportare il lavoro nel nostro Paese” aveva dichiarato Trump; “costringerò Apple ad abbandonare la Cina e produrre i suoi dannati computer e l’altra roba qui”.
La maggiorparte dei dispositivi Apple è effettivamente prodotta all’estero, ad eccezione dei Mac Pro assemblati da Flextronics ad Austin (Texas), una linea di produzione che è costata ad Apple 100 milioni di dollari. Anche molti dei componenti usati per i dispositivi di Apple sono in realtà prodotti negli USA: uno su tutti il Gorilla Glass degli iPhone e degli iPad.
A dicembre dello scorso anno, nel corso di una lunga intervista concessa a Charlie Rose di “60 Minutes”, Cook aveva respinto al mittente le accuse di elusione fiscale parlando di una manovra politica, una truffa della burocrazia, un giochetto messo in piedi da personaggi che vivono di carte bollate, negando con forza l’idea che Apple abbia elaborato uno schema per pagare poche o nessuna tassa negli USA con le sue entrate d’oltreoceano e spiegando che viene pagato ogni singolo centesimo dovuto.
“Mi piacerebbe portare indietro delle risorse negli Usa” aveva detto Cook, “ma non sarebbe una cosa ragionevole con le attuali norme fiscali: ci costerebbe il 40%”. “È una regolamentazione fiscale fatta per l’era industriale e non per quella digitale. È pessima per l’America e doveva essere sistemata molti anni fa. Ormai è passato il momento per farlo”.
Parlando della produzione in Cina, Cook aveva spiegato che non è solo questione di costo della manodopera ma anche di capacità e competenze dei loro lavoratori evidenziando la perdita di alcune abilità vocazionali degli americani: “Voglio dire, se mettessi insieme tutti gli attrezzisti e i fresatori degli Stati Uniti riempiresti la stanza in cui sediamo ora, mentre in Cina ti occorrerebbero diversi campi da calcio”.