Il mestiere del giornalista, si sa, è ingrato. Bisogna informare il lettore ma anche attrarlo, fargli vedere cose che lo interessino oltre a dargli gli elementi per valutare il mondo attorno a lui e prendere delle decisioni informate. Insomma, capita di essere talvolta eccessivi. Se poi di mestiere si fa altro e l’informazione è solo un retweet o un post su Facebook, allora le cose diventano ancora più complicate. Ma lo sappiamo, viviamo tutti in un’epoca in cui l’esistenza stessa dei giornalisti è diventata un mistero: a che servono? a chi servono? per quanto serviranno?
Lo diciamo a mo’ di introduzione per parlare di Tim Cook e della follia di articoli che hanno fatto seguito al suo presunto anniversario. “Presunto” perché la simbologia del momento in cui si assume una responsabilità, oltretutto in un momento particolarmente drammatico come l’agonia del predecessore (Tim Cook ha preso il posto di Steve Jobs per la terza volta quando si sapeva che stava letteralmente morendo), è piuttosto futile. Ma tant’è. Giochiamo a questo gioco.
Tutti hanno scritto di Tim Cook e dei suoi dieci anni. E alcuni hanno anche fatto di più. Negli Usa è stato Mark Gurman, il giornalista assunto da Bloomberg perché il miglior cronista di lingua inglese dei fatti di Apple, a chiedersi chi potrebbe succedere a Tim Cook quando inevitabilmente lascerà Apple per godersi i suoi allori (e i miliardi guadagnati). Ne abbiamo parlato qui, con un titolo che riteniamo equilibrato: “Prima di ritirarsi Tim Cook vuole lanciare una nuova categoria di prodotti“.
Nel resto del web italiano (e non solo), però, sono fioccati titoli da apocalisse annunciata: Apple, Tim Cook pronto a lasciare? Il ceo di Apple prepara l’uscita di scena?. Insomma, come dire: se ne sta per andare Cook e Apple è finalmente decotta. Perché poi è la grande antipatia che è stata generata da Apple (non possiamo più dire “da Steve Jobs” perché l’imprenditore è morto ormai da dieci anni) a fare da velo rosso davanti ai tori da corrida della stampa. Tori sempre e solo alla carica.
Il ruolo di Cassandre ricorda lo spirito degli “odiatori professionisti” che negli anni Novanta aveva contraddistinto altre generazioni di giornalisti pronti a giurare sul “fallimento sicuro” di Apple. Non ci fu, e fu solo un caso che Apple non sia fallita negli anni Novanta. Probabilmente tutti quelli che la davano per morta gli hanno allungato la vita di un bel po’. Ma a parecchi non è andata giù, anche perché a parlar male di Apple si accarezza il pelo delle volpi che vorrebbero il cacio nel becco del corvo. Cioè dei lettori invidiosi e maliziosi. Come sappiamo, è il tipo di engagement che funziona su internet, e così sia, dunque.
Ebbene, care signore e cari signori, sappiate però che Tim Cook a un certo punto se ne andrà. E quando avrà doppiato i 100 anni di vita, passerà anche a miglior vita. Come tutti noi (inclusi gli odiatori professionisti). Ma non dovremmo dimenticare alcune cose, prima di seminare zizzania per il gusto di farlo o, più probabilmente, per avere qualche click in più.
La prima cosa è che Tim Cook è stato sino ad oggi un leader spettacolare. È un uomo di “operazioni”, di organizzazione. In un mondo dominato da persone che si occupano di tecnologia (gli inventori, i fondatori) lui è una persona che sa come far funzionare strutture molto complesse. È come se fosse nominato a come Capo di stato maggiore delle Forze Armate un generale del genio militare. Sarebbe la più grande fortuna per quell’esercito. Perché la cosa fondamentale sono le operazioni e la logistica. Come sappiamo, la Seconda guerra mondiale è stata vinta grazie al sacrificio immane della popolazione russa (decine di milioni di morti) da un lato e dall’altro dalla capacità logistica prima ancora che produttiva o militare degli statunitensi. Il resto è stata solo procedura.
Per questo oggi un leader come Tim Cook è una cosa estremamente rara, soprattutto nell’epoca in cui le grandi e grandissime aziende (ma anche gli Stati) diventano profondamente inefficienti. Andrebbe studiato, così come oggi ci sono studiosi che cercano di capire le ragioni per cui l’Occidente in particolare è diventato così rigido e incapace a sostenere l’innovazione e a costruire; anche un banale ponte, un edificio, una galleria, un tronco ferroviario. Molte delle spiegazioni convergono nell’idea che sia il ruolo purtroppo preponderante delle società di consulenza, che hanno “rubato” lo spazio alle competenze e alla capacità di ricerca e sviluppo interna delle aziende.
Già, le società di consulenza e la loro versione operativa, i “contractor” (due ruoli che spesso si sovrappongono). Se avete visto un film del 2017, War Machine, in cui Brad Pitt interpreta il generale Glen McMahon (ricavato sulla figura del vero generale Stanley McChrystal, oggi a capo della sua società di consulenza McChrystal Group: “Bringing Lessons from the Battlefield to Boardroom”), avrete presente cosa vuol dire lo svuotamento di competenze, il ruolo delle società di consulenza e dei “contractor” per funzioni chiave, e il disastro che attualmente si vede in Afghanistan ma che è solo la spia di un malessere molto più profondo delle pubbliche amministrazioni e delle grandi imprese occidentali.
Questo per dire che Tim Cook è all’antitesi di questo tipo di situazioni. Lo aveva capito Steve Jobs che non solo aveva coltivato internamente il talento dell’uomo, ma aveva anche previsto giustamente che sarebbe stato lui a fare la differenza, con le altre funzioni (design, hardware, software, cloud, servizi, commerciale) come funzionali alla sua capacità di gestire e far funzionare la macchina.
La seconda cosa è che la Apple di Tim Cook è cresciuta e, come la prima macchina che corre nella nebbia, ha aperto la strada a tantissimo altri. Ha inventato, creato ricchezza, l’ha redistribuita, ha ispirato generazioni di giovani, ha fornito “modelli interpretativi” alla concorrenza soprattutto asiatica ma anche americana (che l’hanno copiata senza pudore) e ha fatto tutto questo con un notevole buon gusto e attenzione per il senso del bello. Non è una cosa importante? Beh, se volete vivere circondati dalla bruttezza, fatti vostri, godetevi i vostri brutti dispositivi e i vostri brutti servizi e sistemi operativi.
La terza cosa infine è il senso del fair play. Ce lo dicevano le nonne: l’erba del vicino è sempre più verde, se gli altri saltano dalla finestra salti anche tu?, l’invidia e la madre di tutti i vizi. Perché invidiare, parlar male e odiare Apple? Perché Apple è “brutta e cattiva”? Perché “non è giusto che ci sia”? Per quale ragione si devono provare sentimenti da tifosi di calcio della peggiore risma, quelli che tirano razzi, mortaretti, motorini e pietre in testa e in faccia agli avversari delle opposte tifoserie, a sfavore di una azienda?
Perché non odiare SKV, uno dei più grandi e migliori produttori di cuscinetti a sfera del mondo? I cuscinetti a sfera sono fondamentali, usati ovunque, la nostra civiltà non esisterebbe senza i cuscinetti a sfera, e gli svedesi li producono con una azienda che è quasi un’utopia come ambiente di lavoro, impianti di produzione e qualità del prodotto: perché non odiarli? E perché non odiare anche YJJ, colosso giapponese delle cerniere lampo, l’azienda che controlla metà del mercato e che esegue da mezzo secolo un lavoro di altissima precisione meccanica curando maniacalmente la qualità dei suoi prodotti, arrivando a fondere il proprio bronzo e costruire le macchine necessarie a costruire le cerniere lampo?
Perché non odiare le api, gli insetti mieliferi o cerani che sono diffusi in tutto il pianeta a parte i poli e che sono fondamentali non solo per una dieta sana ma anche per il regolare funzionamento del pianeta Terra e sono oggi fortemente a rischio (se si dovessero estinguere, dopo cinque anni probabilmente ci estingueremmo anche noi) ma nonostante questo vanno avanti e fanno il loro lavoro per l’impollinazione dei fiori?
Allora, perché sputare su Tim Cook dopo che in dieci anni ha dimostrato che si può fare impresa moltiplicando per mille e più volte il valore di una azienda, che si può essere alla guida di una delle più grandi aziende al mondo e per la prima volta dichiarare di essere gay per aiutare i giovani a non avere timore di sentirsi in modo diverso da come i loro genitori e amici vorrebbero, che si può scegliere di fare la cosa giusta per la privacy degli utenti, la loro security, l’ambiente, la filiera della produzione? Perché farlo? Questo, per alcuni di noi incluso chi scrive e che è un ottimista convinto della bontà naturale della natura umana, è francamente un mistero.
E allora ci auguriamo altri dieci e più dieci anni di Tim Cook, sperando che bastino, e certi di una cosa: chi odia in realtà non sa andare avanti, non sa crescere, non sa evolvere. Perché l’odio è come carbone ardente che brucia chi lo porta. Invece, abbracciamo la vita nella sua indeterminatezza, infinita varietà e imprevedibilità. Nel suo cambiamento costante. E nel miracolo di ogni giorno: oggi la corsa di Tim Cook e di Apple è andata ancora avanti. Rallegriamoci che sia così e andiamo avanti anche noi. Senza problemi.