Giornalista dell’Espresso, blogger tra i più letti in Italia con Piovono Rane e autore di successo di libri-inchiesta (consigliamo I nemici della Rete scritto con Arturo Di Corinto. E’ Alessandro Gilioli, alfiere della liberalizzazione del Wi-Fi e tra i più attenti comunicatori italiani sulla questione.
Con rumors sempre più insistenti (probabilmente la prossima settimana ci saranno delle novità) che parlano di una possibile abrogazione dell’articolo 7 del Decreto Pisanu che impone lunghe trafile burocratiche per chi volesse attivare un hot-spot libero (Macity ne parla qui e anche qui, gli abbiamo chiesto di fare il punto della questione per capire quanto sono reali le chance di vedere il nostro Paese rimettersi alla pari con le altre nazioni.
Wi-Fi libero. Sembra uno slogan sessantottino, in stile “Siate realisti, chiedete l’impossibile”. In Italia è davvero impossibile pensare a città con hot-spot nei centri storici gestiti dalle municipalità e la possibilità di navigare in internet seduti al tavolino di un bar, senza dover certificare di non essere terroristi?
«No, altro che impossibile, è un obiettivo minimo, direi quasi una “questione igienica” per le libertà digitali e lo sviluppo della Rete. Quando avremo ottenuto l’abrogazione degli articoli anti Web del decreto Pisanu, bisognerà iniziare a lavorare su tutto il resto: neutralità della rete, definizione di Internet come diritto umano pari all’istruzione scolastica, investimenti in banda larga anche nelle zone dove le telco non ne hanno convenienza (quindi con investimenti pubblici), diffusione del WiMax, governance e responsabilità sociale dei mondi virtuali che non possono più essere monarchie arbitrarie, flessibilizzazione delle forme di copyright, rivoluzione digitale nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, alfabetizzazione informatica delle fasce sociali e anagrafiche tagliate fuori dal web. C’è una montagna di lavoro da fare».
Ogni anno, quando inizia ad essere prossimo il Milleproroghe, si sente parlare della possibilità di cambiare il Decreto Pisanu. Di recente è stata depositata una proposta di legge il cui contenuto è molto semplice: cancellazione di ogni norma restrittiva. Il fatto che sia bipartisan fa ben sperare in un accordo. Secondo lei che possibilità reali ci sono che sia davvero la volta buona?
«La proposta Lanzillotta-Gentiloni-Barbareschi è bipartisan fino a un certo punto: ci sono i finiani ma non il Pdl. Comunque è una proposta ottima: quindi temo non venga approvata. Più probabile che si vada verso un sistema che prevede un’autenticazione via SMS, come vorrebbe il “lodo Cassinelli”. Se fosse così, non ci possiamo accontentare: perché noi italiani dobbiamo avere meno libertà e più burocrazia degli americani, ma anche dei nepalesi? Qualcuno me lo sa spiegare?»
Quanto, secondo lei, la mancata abrogazione sino ad oggi dell’articolo 7 è figlia di una cultura politica che non comprende la portata della liberalizzazione del Wi-Fi e quanto, invece, da scelte consapevoli che tendono ad ascoltare posizioni lobbistiche degli operatori di telefonia, che hanno interesse che non ci siano alternative alle sovraccariche reti 3G?
«Domanda da un milione di dollari. Diciamo che c’è una “splendida” convergenza tra gli interessi delle telco e la burostupidità conservatrice di molti politici italiani. Ho chiesto a Franco Bernabè (Telecom) e a Vincenzo Novari (Tre Italia) di dirmi la loro posizione sul Pisanu: il primo ha dichiarato di essere contrario alla sua abrogazione, il secondo non ha voluto rispondere. Tristezza. Però attenzione, c’è una terza concausa in tutto questo, cioè noi cittadini e utenti. Se ci fosse una più robusta e rumorosa richiesta “crowd” di togliere i lacci alla rete, i politici si muoverebbero di più. In Italia i politici bisogna svegliarli noi, mica si può sperare che si sveglino da soli».
Un anno fa, con l’iniziativa della Carta dei Cento, è riuscito a dare il via a un movimento di opinione sul Wi-Fi. In che misura, secondo lei, questa è una materia marginale di interesse di pochi giuristi e quanto, invece tocca le libertà di ognuno?
«Un anno fa abbiamo perso: a dicembre 2009 il Pisanu è stato rinnovato tale quale. Però abbiamo, come dire, gettato un seme. E quest’anno si sta muovendo molta più gente, c’è più sensibilità, molti più politici firmano il nostro appello, di tutti i partiti, compresi alcuni del Pdl (molto attivi i finiani, tra l’altro). Anche Casini nel suo sito si è speso in merito due volte nel giro di pochi giorni, una qui e una qui. Questo risveglio sta accadendo per diversi motivi, più pragmatici che ideali, in verità. Intanto, sempre più gente tenta di collegarsi al web con device mobili e s’incavola quando vede che può farlo solo con le Sim, quindi strapagando e lentamente (non dimentichiamoci che quest’anno è arrivato l’iPad, subito acquistato dall’establishment italiano, manager, imprenditori, professionisti, politici, giornalisti…). Secondo, si inizia a capire (anche nel mondo delle imprese) che innovazione digitale vuol dire meno spese, più opportunità, cloud computing, insomma “dané”. E nulla sveglia la gente come i dané, appunto. Ad ogni modo, ben vengano le motivazioni pragmatiche se servono ad allargare le libertà digitali, no?»
Negli Stati Uniti si usa “scrivere al proprio deputato”. In un paese che non permette agli elettori nemmeno di esprimere una preferenza, che iniziative può mettere in campo per farsi sentire il popolo del Web?
«Dipende da noi. La società civile ha molti modi di farsi sentire se vuole: on line e off line. E’ sbagliato e autoumiliante pensare che “tanto comandano sempre loro” , quindi tanto vale incrociare le braccia rassegnati. “Rompere le scatole” – costruttivamente parlando – onora il nostro essere cittadini attivi. Le forme associative che rendono autentica una democrazia – quelle di cui parlava Tocqueville due secoli fa, per capirci – sono tanto più indispensabili in un paese con un forte distacco tra società e “palazzo della politica”. E hanno in Rete una declinazione potenzialmente straordinaria».
E che iniziative ha in programma, invece, lei per il futuro?
«Vedremo. C’è un mio amico molto bravo che vuole organizzare qualcosa che abbia a che fare con l’advocacy advertising di tipo sociale, culturale e civile. Insomma usare le armi più sofisticate del marketing e della pubblicità per promuovere battaglie collettive e ideali. L’idea mi stuzzica molto».
Un’ultima domanda, di taglio personale, però: sappiamo che lei usa normalmente prodotti Apple. Quanto pensa potrebbe migliorare la sua esperienza utente, un Wi-Fi più accessibile.
«Massì dai, tanto l’ho già ammesso sul mio blog: iPad, iPhone 4, laptop Mac, insomma sono farcito di device Apple come una meringa e ho pure convertito la mia fidanzata regalandole un altro iPad. Il che non mi impedisce di scassare talvolta le palle ad Apple Italia, come ho appena fatto sul mio blog. A proposito, aspetto ancora la risposta di Biagini.
Quanto all’esperienza utente, credo che chiunque sia armato di iPhone o iPad (ma anche Galaxy, scusate l’eresia) desideri il Wi-Fi diffuso e libero per non sottostare alle gabelle, alle lentezze e ai buchi della navigazione via Sim».