Il DOS protestante, il Mac Cattolico. Il paragone, apparentemente privo di senso, ma in realtà incredibilmente capace di andare a fondo nelle differenze tra i due sistemi operativi e disegnarne un efficacisissimo profilo sintetico, fu Umberto Eco. Lo scrittore, uno dei più grandi uomini di cultura italiani del ‘900, morto venerdì 20 febbraio 2016 a Milano, lo lanciò con una delle sue “La bustina di Minerva”, rubrica con una “pensieri in liberà”, oppure più coltamente “riflessioni sulla società liquida” pubblicate dal marzo del 1985 e continuata con regolarità settimanale sino al marzo 1998 su l’Espresso.
Qui Eco parlava di politica, libri, cinema, fumetti e tanti altri argomenti sui quali era in grado di disquisire con competenza e acume, fondando i suoi pensieri su una cultura e un’intelligenza non comune arrivando a toccare argomenti anche “apocrifi” tra cui, appunto, il Mac e i PC con il DOS, una materia su cui era molto compente al punto da averne colto, quasi 30 anni fa, una delle sfaccettature, con il celebre aforisma: «Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi, è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti».
L’episodio in cui Eco parlava della differenza tra Mac e PC è molto noto a chi, come chi lavora a questo sito, ha cominciato a manovrare computer e ad usare il Mac da ben prima dell’era iPhone che ha seppellito tutto il resto, creando dal nulla espertoni e guru, siti e sitarelli, nuovi universi più o meno paralleli che riducono Apple allo schermo da pochi pollici di un telefono e la concorrenza a Google. E proprio per questo quell’episodio vale, forse, la pena ricordarlo.
«È mia profonda persuasione che il Macintosh sia cattolico e il Dos protestante» scriveva Eco. «Anzi, il Macintosh è cattolico controriformista, e risente della “ratio studiorum” dei gesuiti. È festoso, amichevole, conciliante, dice al fedele come deve procedere passo per passo per raggiungere – se non il regno dei cieli – il momento della stampa finale del documento. È catechistico, l’essenza della rivelazione è risolta in formule comprensibili e in icone sontuose. Tutti hanno diritto alla salvezza».
«Il Dos è protestante, addirittura calvinista. Prevede una libera interpretazione delle scritture, chiede decisioni personali e sofferte, impone una ermeneutica sottile, dà per scontato che la salvezza non è alla portata di tutti. Per fare funzionare il sistema si richiedono atti personali di interpretazione dei programma: lontano dalla comunità barocca dei festanti, l’utente è chiuso nella solitudine dei proprio rovello interiore”
La “bustina” proseguiva con riflessioni colte ma anche tecnicamente competenti sull’arrivo di Windows con il quale «il DOS si è avvicinato alla tolleranza controriformistica del Macintosh»; Eco definiva però Windows «uno scisma di tipo anglicano, grandi cerimonie nella cattedrale, ma possibilità di subitanei ritorni al Dos per modificare un sacco di cose in base a bizzarre decisioni: in fin dei conti si può conferire il sacerdozio anche alle donne e ai gay». Chiudendo con: «È il linguaggio macchina, che decide al di sotto del destino di entrambí i sistemi o ambienti che dir si voglia? Eh, quello è veterotestamentario, talmudico e cabalistico. Ahi, sempre la lobby ebraica…»
Poi sei anni dopo Eco riprendeva la sua bustina e aggiungeva una postilla: «Nel frattempo le cose sono cambiate. Le varie release hanno portato Windows 95 e 98 a diventare decisamente cattolico-tridentini, insieme a Mac. La fiaccola del protestantesimo è passata nelle mani di Linux. Ma l’opposizione rimane valida».
Un altro passaggio che dimostra come Eco, semiologo e scrittore, fosse davvero in grado di comprendere l’essenza dell’informatica e il profilo caratteriale dei sistemi che la distinguono aiutando anche noi utenti di computer, a comprendere noi stessi.