Nelle aule delle scuole, negli uffici delle aziende, in molti uffici professionali e spesso anche nei negozi più eleganti. Il “Mac con lo schermo grande”, l’all-in-one che ha cambiato un modo di immaginare l’informatica è una presenza costante. Dopo le prime versioni trasparenti e poi a lampada, da quando gli iMac sono diventati tavole verticali con una staffa di metallo, prima di policarbonato bianco e poi di alluminio squadrato e infine con i bordi affinati, la visione di uno dei “computeroni” di Apple è stata una costante che ha definito la presenza del marchio iconico (e della sua mitica “mela” ovviamente).
Ci sono tantissime immagini salvate nella mente di chi scrive e di chi legge queste righe in cui compare il grande computer di Apple. Anche senza averlo mai posseduto è facilissimo averlo incontrato e magari utilizzato. E passi il fatto che l’iMac di grandi dimensioni – 27 pollici è uno schermo molto grande – sia una macchina potente, perché è stata molto comprata e usata anche per il suo design e la sua presenza.
Ma da quando c’è Mac Studio, tutto questo non c’è più: se ne va fuori dal listino di Apple uno dei computer più riconoscibili e finisce l’epoca degli all-in-one superpotenti. Perché l’iMac 27 con processore Intel è stato molte cose ma soprattutto è stata una macchina molto, molto potente. Non a caso rimane solo la versione M1 con schermo da 24 pollici, quasi un giocattolo per leggerezza, forme squadrate e tagliate e soprattutto tanta, tanta potenza.
L’importanza di essere potenti
A un certo punto c’è stata addirittura una spinta all’indietro: i Mac Pro sembravano decisamente tramontati per via dell’iMac 27 e soprattutto dell’iMac Pro 27. Ci sono cultori della materia che sanno distinguere le differenti versioni dell’all-in-one di Apple basandosi sulla tipologia del processore, sulla scheda video, sulla connettività, ma anche sulla definizione dello schermo.
E questi cultori della materia hanno capito velocemente che gli iMac 27 potevano dare una risposta al 99% delle esigenze di chi vuole una workstation potente capace di fare tutto. Così, agenzie creative, montatori video, programmatori, si sono tutti lanciati sull’esperienza dell’iMac 27. Alternativa relativamente economica, compatta e trasportabile rispetto ai Mac Pro che, oltretutto, hanno vissuto periodi difficili dopo che Apple ha smesso di curare quel tipo di piattaforma con il Mac Pro a “cestino”.
La diffusione degli iMac 27 è stata quindi duplice: verso il basso per chi aveva bisogno di un computer con lo schermo grande (scuole e uffici) oppure di rappresentanza (negozi). Verso l’alto per chi aveva bisogno di un computer con il quale fare cose “potenti”, tipo programmare, montare video, audio, fare 3D.
La potenza delle schede Intel e il “real estate” dello schermo, magnificato da una risoluzione che arriva sino a 5K e con in più la possibilità di attaccare schermi e televisori esterni, è stata la chiave per l’espandibilità di una piattaforma che, nelle sue ultime incarnazioni, non aveva sostanzialmente bisogno di essere espansa.
Si comprava l’iMac 27 scegliendo processore, unità di memoria e Ram, e con quello si andava avanti. Se serviva più spazio, si attaccava a una delle porte Thunderbolt 3 posteriori un disco SSD esterno o un NAS (anzi, un pool di dischi locali) e si fa tutto quel che serve.
Addio vecchio amico
Come accade spesso per i Mac, si crea un legame empatico soprattutto da parte degli utenti più creativi e che vedono nel computer di Apple un amico, meno “cattivo” di quello fatto da Microsoft (un sistema operativo più facile, amichevole, che sorride, che non uccide i contenuti o la produttività). Il Mac diventa un amico e la forma del Mac diventa parte di questa relazione: cambiarla vuol dire salutare un amico che non c’è più. Addio dunque all’iMac 27, al “gigante buono”, al grande computer che permette di fare tantissimo, con uno schermo talmente grande che spesso ci si perde. Non a caso agitando velocemente il mouse o muovendo rapidamente il dito sulla trackpad c’è il puntatore del mouse che si ingrandisce per farsi ritrovare.
Tra l’altro, la dimensione dello schermo a 27 pollici restituisce veramente la dimensione di una scrivania, anziché di uno strapuntino da 13 pollici dei portatili. Un grande schermo dove disporre le proprie cose, che è capace di contenerne molte: finestre del browser, dei documenti, degli altri software per la produttività. E poi l’emozione di videogiochi e film “sul grande schermo”. Tutto questo se ne va.
Viene sostituito da un computer estremamente più potente che, come avevamo scritto, spariglia perché reimmagina il mondo della tecnologia e la sua classificazione (Mac mini da un lato, Mac Pro dall’altro e iMac nel mezzo). E da uno schermo Apple costoso ma molto buono e con un processore interno dedicato per accelerare la resa grafica del colore e della qualità delle immagini. Infine, viene sostituito da un mondo nel quale Apple sta lentamente tornando a un concetto di modularità che non era suo ma che si dimostra ogni giorno più presente e interessante. Addio, iMac 27, sarà per un’altra volta.