Addio Instant Messenger di AOL. Ha compiuto da poco venti anni e, come abbiamo riportato, viene spento, abbandonando i suoi ultimi utenti all’utilizzo di tecnologie open parallele. Ma non è tanto il “colpo” agli utenti quanto il messaggio che la ragione del business lancia ai sentimenti della storia vissuta. Un altro pezzo, forse l’ultimo di un tempo lontano e pionieristico, scompare.
AOL c’è stato un momento che sembrava essere la cosa più “calda” del pianeta. Era il colosso della connettività quando ci si connetteva con il modem, e ha fatto il bello e il brutto tempo nella bolla della new economy a cavallo degli anni Novanta e Duemila. Protagonista anche sul grande schermo (ricordate: “C’è posta per te” con Meg Ryan e Tom Hanks?) era contemporaneamente uno strumento per la connettività e il più grande – e più riuscito – walled garden attorno a un pezzetto di internet. Era un circuito di connessione che aveva tecnologie e strumenti suoi.
Anche Microsoft e Apple provarono la stessa strada, cioè sistemi di connettività tra utenti al di fuori di internet, usando la rete solo come infrastruttura portante, ma vennero tutti sconfitti. Il browser Mosaic (poi Netscape e ora Mozilla) e i protocolli condivisi e aperti ebbero la meglio. AOLl fece un gioco più fine e premiò la interconnettività. I suoi servizi di posta, messaggeria e condivisione documenti si integrarono con la rete anziché rifiutarla e il suo punto di partenza, cioè la connettività, dimostrò che aveva avuto ragione. Almeno, per un po’.
AOL venne fusa con Time Warner nel momento di maggiore crescita ma il colpo duro venne dall’impossibilità di passare dal settore della connessione dial-up via modem a quella a banda larga (che gli operatori si tennero ben stretta) e portò all’emorragia e poi al disastro. Dopo aver tolto Time Warner dall’azienda nel 2009, venne affidata al Ceo Tim Armstrong che la guidò verso l’acquisizione per 4,4 miliardi di dollari da parte del gigante delle telecomunicazioni statunitensi Verizon. Cercò il rilancio anche con accordi con Microsoft ma la cosa non andò molto bene. Da digital media company a divisione di Verizon e poi?
Oggi AOL è di proprietà, dal 2016, di Oath Inc, braccio armato di Verizon Communications che si occupa dei Media e Telematics, come spiegano gli addetti ai lavori. E, sotto la guida sempre del Ceo Tim Armstrong, controlla e gestisce quel che resta di AOL e quel che resta di Yahoo!.
La decisione di spegnere la messaggeria istantanea, un servizio nato nel 1997 come parte del Dekstop di AOL e diventato oggi totalmente marginale (circa due milioni di utenti al 2017) rispetto ai colossi del settore (da Whatsapp a Messenger di Facebook) e soprattutto non più core business, ma con un costo di esercizio si immagina tangibile, è uno schiaffo nel volto degli utenti ma più in generale degli amanti della storia dell’informatica. Un po’ come la morte di Geocities, per chi ha i capelli bianchi e si ricorda la prima galassia di home pages.
AIM (questo l’acronimo di AOL Instant Messenger) fa parte della prima ondata di servizi assieme a MSN Messenger di Microsoft, Yahoo Messenger e ICQ. Anche all’epoca di difficile interoperabilità, e i vecchi utenti amano usare improbabili app che mettono assieme servizi eterogenei per poter comandarli tutti da un unico schermo (cosa che invece i giovani non fanno mai). Oggi siamo come detto nell’epoca di WhatsApp, Twitter, Facebook e Snapchat, con l’aggiunta ovviamente di Messaggi di Apple (uno dei pochissimi a fondere SMS verdi e messaggi digitali blu) e Telegram.
Addio quindi a AIM, addio all’ultimo pezzetto del nostro passato che scompare, testamento di quella volatilità e intangibilità del digitale che ci dimentichiamo sempre ma che è il vero problema del nostro tempo. Sogni, pensieri, cultura e fatica che evaporano quando un’azienda chiude o viene deciso di girare su off l’interruttore generale.