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Accadde tutto un lunedì

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Ormai dovremmo esserci abituati, dovremmo aver imparato, invece come amanti imbambolati ci ricaschiamo ogni volta. Apple, la nuova Apple di Tim Cook, centellina i lanci e lascia che si accumulino, per poi far uscire fuori tutto in un colpo solo. Con un gran rumore, peraltro.

È una strategia completamente opposta a quella di Steve Jobs, che aveva l’arte del contrappunto, della tessitura fine, del gioco strategico. Si muoveva tra le stagioni, un mese prima o un mese dopo, una settimana prima o una settimana dopo, come un agricoltore che ha una multicoltura e porta avanti piante diverse: qui gli aranci e là gli albicocchi, qui le barbabietole e là le zucchine. Una strategia finalizzata a creare un tessuto narrativo, un ritmo ipnotico nei lanci dei prodotti che in qualche modo bruciava le cervella prima ancora che i mercati dei concorrenti.

Tim Cook, invecve no. Lui non è un compositore, un fine direttore d’orchestra, il Rommel delle presentazioni. È un suonatore di percussioni, un bombardiere da alta quota, pronto ad asfaltare la concorrenza con lanci epocali che trasformino il mercato in un cratere dal quale emergano, fumanti e scintillanti, i suoi prodotti.

Ecco quindi un lancio atomico durante la WWDC, con prodotti di oggi, di questo autunno e di fine anno. Speaker intelligenti, iMac neri e arrabbiati, belve a 18 cuori, portatili rinnovati, iPad con i margini sempre più consumati che quasi scompaiono. Ormai le previsioni non si possono più fare perché le cose si accumulano, si ammassano, fino ad esplodere con una detonazione rumorosissima.

Perché Apple fa così? Perché così tanto hardware in un colpo solo? È una fortuna, da un certo punto di vista, perché semplifica la scelta degli utenti. Anche se ad esempio il cambio di processore a giugno di portatili presentati a ottobre è un po’ spiazzante, così come l’idea di un iMac fenomenale che però ancora non vedremo per un po’ (e che è solo l’antipasto, visto che poi il Mac pro è stato promesso che venga realizzato).

Se si guarda bene, i cicli degli iPad e degli iPhone vengono rispettati con certosina precisione: sembra il testamento alla volontà di Steve Jobs: iPad prima dell’estete e iPhone dopo l’estate. Ma di quel prodotto Apple ha il controllo completo: sa quando arriveranno le varie componenti, progetta e fa produrre la maggior parte di esse, gestisce la filiera con investimenti miliardari in fabbriche e aziende asiatiche. Il discorso per gli apparecchi “speciali” non si può fare: lo speaker è un’ottima idea, in molto lo aspettavano, ma non avrebbe retto un evento da solo. Bisognava lanciarlo “dentro” un’altra manifestazione. Ha senso presentarlo alla WWDC perché è aperto agli sviluppatori, ma poteva benissimo essere lanciato a settembre/ottobre con i nuovi iPhone.

ARKit

Invece, per i Mac, la questione è più complessa. C’è un problema probabilmente di ingorgo nella progettazione dei computer di casa Apple, che porta a rallentamenti e distanze eccessive nella realizzazione dei prodotti. Ma c’è anche un fornitore strategico, Intel, che probabilmente sta ciurlando un po’ nel manico. Pensateci: quando Apple è passata dai PowerPc (Ibm e Motorola) agli Intel, l’azienda guidata all’epoca da Paul Otellini era in crisi, aveva bisogno di ossigeno e di buona pubblicità. Apple le ha fornito anche questo, grazie al più grande mago da palcoscenico della storia, capace di far cambiare immagine non solo alla sua azienda nel 1997 ma anche per simpatia ad Intel poco meno di dieci anni dopo. E in cambio Intel forniva i suoi migliori processori praticamente in anteprima ad Apple.

Oggi questo rapporto privilegiato, che aveva permesso ad Apple di passare davanti a una serie di partner storici di Intel (come gli asiatici di Asus, ad esempio, che producono anche schede madre e chipset) seppure in un segmento limitato dell’offerta di processori di Intel, adesso pare sfumato. Apple è un cliente come gli altri, che ottiene i chip che vuole sei mesi dopo il lancio (e non un mese prima), che probabilmente offrirà computer sistematicamente “in ritardo” rispetto all’avanguardia dei prodotti della concorrenza Pc. È un male? Probabilmente no, perché i sistemi di Apple sono più meditati e ben costruiti. Un male però per l’immagine dell’azienda.

Vedremo ovviamente cosa succederà più avanti e vedremo appena possibile i nuovi hardware, proveremo a capire se le nuove macchine sono all’altezza della loro fama. I MacBook Pro di nuova generazione (soprattutto i modelli touch bar) avevano generato un po’ di critiche per la presunta boccheggiante potenza, e bisognerà vedere se questo giro di rinnovi invece li rende più croccanti e brillanti. E il piccolo MacBook 12, che adesso acquista anche processori i5 e i7, pur sempre senza ventole? È la macchina definitiva per la mobilità oppure bisogna rimanere fedeli al processore m3, per avere termica efficiente e batterie realmente da 10 ore? Vedremo presto.

imac pro 1200

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