Certe cose non finiscono mai. Nella vicenda che tre anni fa aveva appassionato il mondo della rete – vale a dire la causa tra Sco (proprietaria all’epoca dei diritti su Unix) e Ibm (accusata di aver “copiato” pezzi di Unix dentro Linux) – era successo di tutto. Il caso giuridico era ed è complesso, le versioni molteplici, le semplificazioni giornalistiche pesanti e la rete stessa aveva giocato un ruolo decisivo nel fare un po’ di chiarezza. Soprattutto un sito: Groklaw, gestito da una giovane studentessa di legge, Pamela Jones. Che aveva spiegato i motivi del processo, illustrandone anche le fasi tecnicamente più difficili “in diretta” e parteggiato più che apertamente per l’open source e quindi Ibm.
Adesso, dopo che mille palle di fango sono già state tirate da un po’ tutti gli attori in causa nel processo (anche lo stesso Linus Torvalds aveva rotto a più riprese il suo abituale e riservato silenzio stampa per rilasciare interviste infuocate contro Sco e l’illogicità delle sue tesi), ne parte un’altra di quelle che a vederle dal di fuori sembrano veramente ben assestate.
Sco, in uno di quelli che probabilmente sono gli ultimi sussulti prima della chiusura completa, ha infatti citato in giudizio proprio Groklaw, nella persona di Pamela Jones. Solo che la suddetta Jones non si trova: come riportato da vari siti si è presa un “periodo di riflessione” per ragioni personali. E quelli di Sco tirano fuori un’idea niente male: la cara Pamela non esiste, in realtà il sito è stato messo su dagli avvocati di Ibm… Fango su fango.